Rafael Cadenas, dal popolo che ingoia i serpenti, l’eco di chi caccia le disillusioni
Poeti venezuelani Ritratto di un grande a noi pressoché ignoto, di cui Einaudi traduce due raccolte: «Lettera aperta» e «In risposta», dove l’aforisma domina un testo in cui la voce poetica incontra il mistero quotidiano
Poeti venezuelani Ritratto di un grande a noi pressoché ignoto, di cui Einaudi traduce due raccolte: «Lettera aperta» e «In risposta», dove l’aforisma domina un testo in cui la voce poetica incontra il mistero quotidiano
Nella scrittura letteraria del Novecento venezuelano, a una narrativa dura e insanguinata corrisponde una poesia meditativa che raggiunge in alcuni autori – fra i pochi tradotti Juan Liscano, Vicente Gerbasi ed Eugenio Montejo – toni quasi metafisici. Decano di questa linea poetica, Rafael Cadenas ha dato il suo sostanziale contributo da una posizione pervicacemente isolata, con un’opera sviluppata a un ritmo lento ma costante. Alla fine degli anni Cinquanta si aprì un lungo ciclo poetico, segnato dalla ricerca di un «tu» essenziale: in Una isla, la prima poesia sembra già annunciare il cammino: «Se la poesia non nasce, ma è reale la tua, / sei la sua incarnazione. / Vivi nella sua ombra invincibile. / Ti accompagna / diamante incompiuto»; mentre Cuadernos del exilio il linguaggio traboccante del monologo recitativo ne fa un esempio a sé della ricerca di Cadenas, che situando il soggetto poetico in un paesaggio caraibico saturo di riti magici e sensazioni violente, scrive un incipit tra i più noti di tutta la poesia venezuelana – «Io appartenevo a un popolo di grandi mangiatori di serpenti».
La forma del poema in prosa rinnova una brillante tradizione ispanoamericana e dà luogo a una sorta di iniziazione liberatoria del soggetto implicato. Nonostante la sua atipicità, in questo fervore verbale già sono presenti tutte le questioni essenziali della poesia di Cadenas, e la coscienza dell’Io poetico emerge da quel paesaggio magnifico connotata da una attenzione montante per il linguaggio, mentre si annuncia in uno dei testi un’apparizione decisiva: «il filo dell’ossessione è un volto».
Una dizione più essenziale e pensosa si inaugura con Falsas maniobras: siamo a metà degli anni Sessanta, e l’universo barocco viene sostituito da un panorama di asciutta chiarezza, abitato da una voce sottilmente autoironica, che usa la lingua colloquiale della vita quotidiana. Presa coscienza delle proprie sconfitte e della propria miseria, l’Io osserva con distacco sé stesso e il mondo, dichiarandosi incapace di comprendere e adattarsi alla realtà. A riassumere il tono della raccolta provvede Derrota, una sorta di manifesto generazionale, riferimento obbligato della poesia degli anni Sessanta, per l’ammissione di una sconfitta epocale in cui molti si riconobbero, anche al di fuori del Venezuela.
L’amaro sorriso che si insinua nei versi nasce dalla schiettezza che accompagna la presa d’atto del fallimento: le false manovre del soggetto poetico per superare questo stallo si aspettano «una grande pace, un’allegria sobria, un’integrità immediata», e gli sviluppi si realizzeranno, dopo dieci anni di silenzio di Cadenas, con Intemperie e Memorial. Un cambio di tono marca la prima raccolta, cruciale nel modificare la relazione tra il tu e l’altro. Non ancora affrancato dai solipsismi della coscienza, l’Io poetico di Cadenas approda a una densità più profonda, scegliendo il frammento quasi aforistico come suo principale strumento espressivo, che ne diventerà la cifra dell’intera opera. Quanto a Memorial, vi si trovano riunite varie raccolte degli anni Settanta: il registro dei primi libri è definitivamente abbandonato e il linguaggio accede sia a una maggiore essenzialità sia a un tono più informale, con un’alternanza di testi in versi e in prosa, molto brevi e collegati tra loro in sequenze. Le risonanze della parola danno espressione all’alterità del reale, lasciando intravedere una presenza che si materializzerà in Amante (1983), tra i vertici della ricerca poetica di Cadenas, che qui trova il «tu» a lungo cercato e lascia che questi fondi il suo regno.
La scelta del participio presente nel titolo gioca su una ambiguità semantica: quell’amante è allo stesso tempo il sé che si autosserva nell’atto di amare, e l’amata che lo corrisponde: «sei tu che consacri il dire/ Senza il tuo favore / le parole solo avrebbero un peso proprio». La progressiva depurazione del linguaggio e la semplificazione del verso continuano anche nelle raccolte successive, fino a giungere a quelle pubblicate da Einaudi nell’eccellente edizione curata da Laura Pugno: Lettera aperta e In risposta (pp. 190, € 15,00), che ripropone Cadenas in italiano dopo un’antologia ormai introvabile delle edizioni Ponte Sisto. Grazie all’approfondimento del lavoro sulla scrittura aforistica e alla lezione della poesia giapponese – in particolare di Basho, tradotto e studiato dal venezuelano – la scrittura poetica di Cadenas raggiunge qui il massimo di fluidità e precisione: l’aforisma perde il suo carattere sapienziale e diventa l’architrave di un testo dove il soggetto poetico incontra il mistero quotidiano, quel «suggeritore occulto» da sempre presente, ma finora inavvertibile. Sulle orme del maestro orientale, Cadenas raggiunge il suo punto d’arrivo, dove la voce poetica giunge alla pacificazione con quel mistero, che diventa «il luogo / a cui sempre fai ritorno / solo che è pieno di iscrizioni».
Sempre più orientato al silenzio, l’Io poetico si apre alle manifestazioni del mondo nella più totale trasparenza, non prima di avere superato ostacoli e operato «false manovre», nello sforzo di «disimparare» gradualmente le illusioni e le inconsistenti certezze. La raggiunta fluidità del verso apre spazi di dialogo in cui questioni e sensazioni universali vengono condivisi in modo tangenziale, per rivelarne aspetti nuovi e aprire interrogativi inattesi. Affinata dall’esperienza, questa voce approda a uno sguardo autoironico e conciliante, sia quando dialoga con politici e scrittori convocati nell’ultima raccolta, In risposta, dove vivono richiami di autori orientali, scandinavi, spagnoli e latinoamericani, sia quando lo scambio avviene attraverso la citazione di frammenti dai loro testi, seguiti da una breve e mai accomodante o celebrativa battuta dell’autore «in risposta». A volte risentita, amara, disillusa, la conversazione tende a ridimensionare la retorica magniloquenza di alcuni e a ridiscutere le apparenti certezze di altri, mentre la «risposta» dell’autore non chiude ma anzi invita a continuare il dialogo, coinvolgendo anche il lettore, ospite ineludibile di tutta la poesia di Cadenas.
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