«La maggior parte degli Stati dotati di armi nucleari sta inasprendo la propria retorica sull’importanza di quel tipo di armamento e c’è chi sta persino lanciando minacce esplicite o implicite sul loro potenziale utilizzo».

Lo Stockholm International Peace Research Institute (Sipri) lancia l’allarme e sceglie un aspetto in particolare nel presentare, ieri in Svezia, il suo Yearbook 2023, annuario che fa il punto su disarmo e mercato delle armi.

TOCCA A MATT KORDA, ricercatore del Programma sulle armi di distruzione di massa e membro dell’autorevole Federation of American Scientists, riassumere in poche parole la spada di Damocle che grava sulle nostre teste: «Questa elevata concorrenza nucleare ha aumentato drasticamente il rischio che le armi nucleari possano essere usate con rabbia per la prima volta dalla Seconda Guerra mondiale».

Non è un caso se questa volta il Sipri punta l’indice su una possibilità sempre meno remota che la guerra in Ucraina ha buttato sul tavolo. Raccolta a piene mani da chi quelle armi le possiede.

GLI ARSENALI dei nove Stati dotati dell’arma nucleare infatti vengono alimentati un po’ ovunque. Stati uniti, Russia (i due principali paesi detentori), Cina, Regno unito, Francia, India, Pakistan, Repubblica democratica popolare di Corea e Israele continuano a modernizzare i loro arsenali nucleari e alcuni fra loro hanno dispiegato nuove armi di questo tipo nel 2022.

Lo hanno forse sempre fatto ma ora la guerra in Europa illumina sia una nuova corsa al riarmo (anche atomico dunque) sia l’incapacità di far procedere quella «diplomazia del nucleare» che ha tentato in passato di ridurre la portata degli arsenali con la speranza indiretta di farli scomparire. Ora le carte si rimescolano così che quella speranza appare sempre più lontana.

I CONTI dell’inventario globale mondiale (circa 12.512 testate) dicono che, a gennaio 2023, circa 9.576 erano in scorte militari pronte per un uso potenziale, 86 in più rispetto all’anno prima. Di queste, circa 3.844 testate sono state dispiegate con missili e aerei, e circa 2mila, quasi tutte di Russia e Stati uniti, sono state mantenute in uno stato di massima allerta operativa, il che significa montate su missili o nei depositi di basi aeree che ospitano bombardieri nucleari (ne abbiamo anche in Italia).

Del resto, ricorda il Sipri, Washington e Mosca hanno il primato del possesso di quasi il 90% di tutte le armi nucleari. Avendo i magazzini pieni, i rispettivi arsenali nucleari sarebbero rimasti relativamente stabili nel 2022 ma il Centro studi svedese nota che «la trasparenza riguardo al nucleare è diminuita in entrambi i paesi a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina nel febbraio 2022».

«Circa» è la parola ricorrente, a dimostrare che la trasparenza non è di casa dove c’è la bomba. Per non parlare del caso di Israele che nega da sempre di possedere questo tipo di arma, i buchi neri (Corea del Nord, Iran) restano preoccupanti e il Sipri nota che la marcia diplomatica ha rallentato quando non si è fermata.

Non c’è da star tranquilli neppure con chi, pur con tutte le reticenze, non fa mistero di possedere la bomba. L’arsenale nucleare cinese sarebbe salito da 350 testate nel gennaio 2022 a 410 nel gennaio scorso e Pechino potrebbe potenzialmente avere almeno tanti missili balistici intercontinentali quanti Stati uniti o Russia entro la fine del decennio.

LONDRA ha annunciato di voler aumentare le scorte per far crescere le testate da 225 a 260 e ha reso noto che non rivelerà più pubblicamente la quantità di armi nucleari, testate o missili dispiegati.

Nel 2022 Parigi ha continuato il suo programma di sviluppo di un sottomarino missilistico a propulsione nucleare di terza generazione e di potenziamento del comparto missilistico. India e Pakistan sarebbero invece arrivati a detenere rispettivamente 164 e 170 testate. «Circa», ovviamente.