Tarik Lamloum è un esperto di immigrazione e attivista per i diritti umani. È nato e vive in Libia, ma nelle ultime settimane ha visitato diversi paesi europei. Fa parte di un’organizzazione, che preferisce non nominare per ragioni di sicurezza, che documenta le violazioni dei diritti di migranti e rifugiati nel paese nordafricano. Visita spesso i centri di detenzione ed è attiva nelle città di Tripoli, Zliten, Misurata e al confine tra Libia ed Egitto.

Perché vuoi che l’organizzazione resti anonima?

Fino a pochi anni fa non ci sarebbero stati problemi, ma negli ultimi tempi un’ondata di repressione ha colpito cittadini e attivisti, specialmente nell’ovest. È stata organizzata dalla «Commissione sulla società civile» di Tripoli insieme ad autorità e corpi di sicurezza, incluse alcune milizie. Per esempio adesso serve un’autorizzazione per parlare con organizzazioni straniere o corpi internazionali. Negli ultimi mesi, poi, sono stati arrestati molti difensori dei diritti umani, compresi quelli che lavorano con i migranti. Ciò è avvenuto soprattutto nella Libia occidentale, anche con il supporto del ministero per gli Affari religiosi che ha condotto varie campagne diffamatorie verso gli attivisti. Sostiene che lavorino contro i valori libici tradizionali. Per esempio promuovendo il femminismo.

Fino al rinvio delle elezioni, previste per il 24 dicembre scorso, in Italia si è parlato molto di una «nuova Libia». Secondo questa narrazione il paese era in via di stabilizzazione dal punto di vista economico-politico, delle possibilità di investimenti stranieri e anche da quello dei diritti umani. È così?

È una narrazione completamente falsa. L’unico miglioramento che abbiamo visto in Libia è stato nei primi mesi dopo la rivoluzione del 2011 con alcune aperture per la società civile: più libertà di espressione, miglioramento delle condizioni di detenzione, meno arresti arbitrari. Poi tutto è peggiorato, sia politicamente che economicamente. In particolare dopo il 2014.

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Il memorandum italo-libico è l’«inferno» dei migranti

Sono passati cinque anni dal memorandum italo-libico sui migranti. Com’è cambiata la situazione?

Simili accordi di cooperazione dovrebbero fare gli interessi di tutte le parti coinvolte. Ma questo non avviene: migranti e rifugiati sono completamente ignorati dal memorandum e soffrono incredibili violazioni, che in questi cinque anni sono cresciute. L’accordo è funzionale solo agli interessi economici e politici dello Stato italiano e di quello libico. Ha finanziato la guardia costiera libica nonostante siano state ripetutamente documentate le sue violazioni dei diritti umani e i rapporti con milizie e gruppi armati. Abbiamo chiesto molte volte a Italia e Ue di condizionare i finanziamenti al rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale. Ma questa richiesta è sempre stata ignorata.

Le politiche anti-migranti di Italia e Ue hanno qualche effetto anche sulla situazione politica e sociale interna alla Libia?

Questa cooperazione è usata dal governo libico per accreditarsi come fattore di stabilità. Gli stessi discorsi usati all’estero, con l’Europa, sono ripetuti anche all’interno. Sia nella competizione politica tra diverse forze che di fronte alla popolazione. Negli ultimi cinque anni, in parallelo con l’aumento delle intercettazioni in mare e dei migranti detenuti, in Libia sono cresciuti intolleranza, razzismo e violenza.

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I rifugiati di Tripoli: «Vivere è nostro diritto, lotteremo fino alla fine»

Nei mesi scorsi c’è stata una lotta auto-organizzata dei rifugiati davanti agli uffici Unhcr di Tripoli. L’avete seguita?

La nostra organizzazione è stata lì dal primo giorno. Abbiamo provato a supportare le circa 2mila persone che hanno dato il via alla mobilitazione. Ci siamo lamentati con l’Unhcr, sia localmente che a Ginevra. Siamo stati molto critici della posizione che ha assunto. L’Unhcr coopera ampiamente con le politiche migratorie italiane ed europee. Hanno rilasciato dei comunicati problematici e chiuso le porte ai rifugiati. Il capo della delegazione dell’Unione europea, invece, ha addirittura chiesto alla polizia libica di proteggere gli uffici, intervenendo.

A breve l’Italia rivoterà il finanziamento della guardia costiera libica. Cosa direbbe ai parlamentari?

Dipende da qual è l’indicatore per valutare l’accordo. Se fosse sostenere, difendere o almeno non violare i diritti umani potremmo discutere di come aiutare le autorità libiche pretendendo il rispetto di condizionalità legate ai diritti umani. Se invece l’unico indicatore che interessa ai politici italiani è la sicurezza delle frontiere allora è difficile discutere. Quel che è certo è che sostenere la guardia costiera libica come è stato fatto finora uccide le persone. In mare o a terra.