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Quella prolifica razza donatrice di figli alla patria

Quella prolifica razza donatrice di figli alla patriaMario Sironi, L’Italia corporativa, 1936

Opinioni Questa visione delle donne come etnia separata ci riporta a uno dei testi canonici della cultura greca: il poeta Semonide di Amorgo, che paragona le donne agli animali

Pubblicato più di un anno faEdizione del 13 maggio 2023

Il problema demografico dell’Italia e le sue ripercussioni sul Pil si risolvono “non con i migranti” ma incentivando la natalità e aumentando il tasso di occupazione femminile». Così Giorgia Meloni al Salone del mobile di Milano. Su donne, figli e lavoro la premier è tornata a parlare ieri agli Stati Generali della natalità. Buone notizie per le donne, dunque, che troveranno finalmente lavoro, e anche per i bambini.

Perché che con questo governo vedranno la luce in numero maggiore. E pazienza se Giacomo Leopardi sosteneva che “Nasce l’uomo a fatica, / ed è rischio di morte il nascimento. / Prova pena e tormento / per prima cosa …” Ma si sa, i poeti non tengono conto del Pil e poi Leopardi (come Lucrezio) aveva un’idea particolarmente cupa del venire al mondo.

IL PIANO DEL GOVERNO, dunque, consiste nel rimpiazzare i migranti (magrebini, senegalesi, afgani, pakistani …) con altrettante donne, mettendo in opera una manovra che, contestualmente alla crescita del lavoro femminile, porterà a un incremento della natalità. Gli studi sociologici, infatti, mostrano chiaramente che le donne, quanto più lavorano, tanto più sono prolifiche. Nel senso che tornando a casa la sera, spossate da otto ore in fabbrica con contratto a termine – più una o due di pendolarato su treni malcerti – si slanciano con rinnovato entusiasmo fra le braccia dei loro mariti o compagni, per donare nuovi figli alla patria. Specie se poi non hanno a chi lasciare la prole, durante l’orario di lavoro, data la cronica mancanza di asili nido o altre forme di supporto pubblico per le giovani madri.

Ancora gli studi dei sociologi, poi, rivelano che la natalità cresce tanto più, quanto maggiore è la soddisfazione che le donne traggono dal proprio lavoro: come accade quando una laureata in lettere trova finalmente posto come cassiera part-time in un supermercato o è stata indirizzata al settore dell’agricoltura (giustamente la premier non ha specificato quale genere di occupazione intende offrire alle donne che attualmente non lavorano).

NELLE PAROLE DI Giorgia Meloni, però, quello che ci ha maggiormente colpito è, ancora una volta, l’emergere di sicuri riferimenti classici nella visione del mondo e della società condivisa dal governo, secondo i parametri che guidano e debbono guidare una compagine di destra e conservatrice come quella attualmente al timone del paese.

Infatti, proponendo di rimpiazzare gli immigrati con mano d’opera femminile, le Donne vengono automaticamente messe nella stessa categoria di Magrebini, Senegalesi, Afgani, Pakistani …, ossia vengono a configurarsi come una “etnia” ovvero una “razza” separata e ben identificata. Come lo sono i vari gruppi di migranti nella visione di questo governo. Fuori Magrebini, Senegalesi, Afgani, Pakistani … dal mondo del lavoro, e dentro Donne, non meglio identificate se non dal loro essere creature umane di sesso femminile.

QUESTA VISIONE delle donne come appartenenti ad una “razza” separata ci riporta ad uno dei testi canonici della cultura greca, uno dei più antichi e venerabili: il giambo sulle donne del poeta Semonide di Amorgo (VII secolo a. C.).

QUESTO POETA, INFATTI, concepiva le donne come creature “dalla mente separata”, una “razza” speciale e ben individuata. A creare questa separazione sarebbe stato Zeus in persona. Nella classificazione di Semonide le donne appaiono poi distinte di volta in volta in “stirpi” diverse a seconda della derivazione da un animale (asino, cavallo, donnola, cane, scimmia…) o da un elemento naturale (terra, mare).

Le caratteristiche stereotipe che l’enciclopedia culturale antica attribuiva ai singoli animali – come l’eccessivo amore di sé della cavalla, la sciatteria dell’asina, la lussuria della cagna, e via di seguito – servivano così da paradigma per identificare le caratteristiche di ogni particolare tipo di donna.

IN SEMONIDE INSOMMA animali ed oggetti erano utilizzati per pensare e classificare la “razza” femminile, organizzandola in un insieme di “stirpi” che si ritenevano in grado di spiegare perché certe donne si comportino in un certo modo ed altre in modo differente. Il panorama descritto dal poeta è ovviamente sconsolante, oltre che profondamente misogino. Solo la donna/ape si salva.

Nella classificazione dell’Amorgino si alternano esclusivamente donne lussuriose, infedeli, infauste, e comunque – cosa che il poeta sembra temere più di ogni altra – fonte di risa e di discredito presso i vicini. Poveri uomini. Le donne li tradiscono e trascurano la loro casa: in più non possono nemmeno uscire senza che i vicini si facciano beffe di loro.

PER FORTUNA, PERÒ, il nostro governo ci assicura che, se collocata nel giusto contesto sociale e lavorativo, la “razza” separata delle donne è comunque capace di accrescere le proprie possibilità riproduttive. Suggeriamo anzi che, nel suo prossimo intervento, la Presidente del consiglio segua ancor più da vicino il modello di “razza” femminile elaborato da Semonide di Amorgo, specificando quali “stirpi” di donne intende propriamente immettere sul mercato del lavoro al posto delle singole etnie straniere: ossia se donne-cavallo, donne- asino, donne-donnola e così via. Il progetto del governo ne guadagnerebbe certo in chiarezza e compattezza.

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