Cultura

Quella memoria ribelle che si scorge meglio da lontano

Quella memoria ribelle che si scorge meglio da lontanoRoma, Luglio '60 a Porta San Paolo

Scaffale «Io c’ero. Dal Luglio ‘60 al crollo del Muro: i comunisti romani si raccontano», il nuovo libro di Pino Santarelli per le edizioni Bordeaux. Uno dei meriti dell'opera è quello di smontare lo stereotipo del monolitismo del Pci, almeno per quanto riguarda Roma, e restituire la ricchezza di pensieri comunisti eterodossi, dichiaratamente antiburocratici, che hanno animato la battaglia interna prima di scoprire quanta vita ci fosse fuori dal partito

Pubblicato circa un anno faEdizione del 8 luglio 2023

Scriveva Oreste del Buono che in sostanza la nostalgia falsifica il passato e lo ricopre di inverosimili dolcezze. Non è il caso del libro di Pino Santarelli che interpella alcuni protagonisti di una stagione politica, la Fgci romana degli anni ’60, straordinariamente articolata: una generazione che si è politicizzata dentro una radicalizzazione globale senza precedenti e all’interno di un microcosmo, il partito di massa, che oggi sembra appartenere a un’epoca lontanissima. Io c’ero. Dal Luglio ‘60 al crollo del Muro: i comunisti romani si raccontano (Bordeaux, pp. 480, euro 28), raccoglie le voci di più di venti membri del gruppo dirigente della locale federazione giovanile del Pci che hanno preso parte a momenti cruciali della storia politica cittadina.

Prima la formazione nel vivo degli scontri di Porta San Paolo (1960) e nelle vicende del movimento studentesco del ’68, poi la militanza scandita dai grandi choc collettivi, dai carri armati in Ungheria e in Cecoslovacchia fino alla cacciata di Lama, il rapimento Moro e infine il crollo dell’Urss fino alla Bolognina e poi nei vari gorghi in cui s’è consumata la vicenda della sinistra italiana.

L’AUTORE, AVEVA 13 ANNI quando si è iscritto nel 1954 alla Fgci per diventarne quadro intermedio fino al 1970 quando condivise la sorte della radiazione con alcuni dei testimoni con cui ha scelto di ripercorrere l’anomalia di una federazione romana molto più a sinistra dell’organizzazione nazionale. Si tratta di quattro operai, altrettanti giornalisti, quattro funzionari pubblici, nove docenti universitari, un libero professionista e tre «rivoluzionari di professione», come si diceva all’epoca a proposito dei funzionari di partito. Alcuni nomi: Maria Luisa Boccia, Paolo Flores D’Arcais, Franco Russo, Silvia Calamandrei, Sandro De Toni, Anna Foa a testimoniare il protagonismo di una generazione per la quale l’ascensore sociale funzionava meglio di adesso.

Cento anni dopo la sua fondazione e trent’anni dopo lo scioglimento, del Pci restano molte piste. Alcune sono certamente false sia nel senso che gli avrebbe attribuito Oreste Del Buono, sia nel senso che la sconfitta storica del movimento operaio ha dato la stura a un revisionismo selvaggio al pari della formazione sociale che lo genera, il neoliberismo.

Eppure c’è stato un tempo nel quale in alcune zone di Roma dall’ingresso di una sezione del Pci potevi scorgere la bandiera di un’altra sezione di quello stesso partito e continuare il gioco per individuare i nodi di una rete fittissima che oggi non esiste più. Solo pochissime sezioni del partito hanno mantenuto la loro destinazione d’uso politica e ospitano una manciata di sedi del Pd o della diaspora di Rifondazione; di Botteghe Oscure sappiamo che oggi è sede del Consorzio Bancomat e di fronte c’è la sede dell’Ugl, il sindacato di destra, erede della Cisnal, mentre al Quadraro c’era una pizzeria ma la chiamavano tutti l’ex partito.

OGGI LA CITTÀ in cui s’è snodata la vicenda umana e politica dei testimoni scelti da Santarelli è invisibile, sfigurata dalla gentrificazione, ma la storia del Pci è la storia di centinaia di migliaia di donne e uomini e preme per essere indagata, per sfuggire al destino di «linguaggio privato» a cui l’ha relegata il presente.

Uno dei meriti del libro è quello di smontare lo stereotipo del monolitismo del Pci, almeno per quanto riguarda Roma, e restituire la ricchezza di pensieri comunisti eterodossi, dichiaratamente antiburocratici, che hanno animato la battaglia interna prima di scoprire quanta vita ci fosse fuori dal partito. Alle raffiche di radiazioni ed espulsioni seguirà il lungo ’68 italiano e il riflusso degli anni ’80 e poi nuove stratificazioni di lotte radicali a comporre una storia che può essere letta anche come repertorio delle occasioni perdute.

FORSE HA RAGIONE Santarelli, militante di lungo corso, che la memoria è presbite, vede meglio da lontano, o forse lo sembra soltanto: ogni materiale che la memoria fornisce, e questo libro non fa eccezione, è fatto di messe a fuoco ma anche di rimozioni. Alla domanda «sei ancora comunista?» con cui si conclude ciascuna delle conversazioni hanno risposto «Sì» in 15, «No» in 5, due non hanno risposto. Santarelli ammette: mi aspettavo peggio.

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