Quando Rossana Rossanda decise di andar via dal manifesto, nel 2012, accadde qualcosa di impensabile: la madre che lasciava il figlio – il giornale – al suo destino.

Ho ricordato spesso, l’ultima volta per i nostri 40 anni di vita, quanto fu traumatico quel distacco: per lei, per me, per la redazione, per le lettrici e i lettori, per i militanti di una storia politica lunga più di 4 decenni.

Lo strappo è rimasto tra di noi per alcuni anni. Ma negli ultimi tempi le strade della madre e del figlio si erano nuovamente incrociate.

Con i suoi articoli sull’aborto, sul Pd, su Berlinguer, e sul fascismo, quando polemizzò duramente con quelle che definì «le anime belle e democratiche» perché non vedevano i rigurgiti di violenza e invitavano a non esagerare.

Eppure la causa primaria della rottura non fu di tipo politico in senso stretto, di «linea», ma riguardava la funzione del giornale, il futuro della nostra cooperativa, la struttura stessa del manifesto.

Continuare ad essere un quotidiano «generalista», radicato nella sinistra italiana, oppure diventare uno strumento di riflessione, di ricerca e di dibattito, a quel punto anche in forma di periodico.

La redazione volle continuare e il giornale che avete tra le mani è il frutto maturato allora, con in più una marcata e chiara funzione della redazione, diventata vera e unica proprietaria della testata. E quindi di se stessa.

Mantenendo al tempo stesso una propria autonomia politica, culturale, avendo sempre un ruolo critico nei confronti della sinistra e dello stato delle cose presenti. Sicuramente non come avrebbe voluto Rossana, e come lei ha insegnato ad alcuni di noi dall’inizio degli anni Settanta.

Nella «scuola» del manifesto – nel giornale più che nell’organizzazione politica – avvenne la stessa cosa, e la prima maestra fu proprio Rossana, con l’autorevolezza delle sue indicazioni, con la ricchezza delle parole e del suo sapere. Non so immaginare un manifesto dei primi anni senza «la Rossanda», la roccia del gruppo, alla quale erano legati Luigi Pintor, Lucio Magri, Luciana Castellina, Valentino Parlato e, in modo diverso, Aldo Natoli, che forse incuteva lo stesso timore di Rossana.

Loro diedero vita ad una squadra di enorme valore, ad un gruppo politico formidabile, un’agorà unica, irripetibile, che formò migliaia di giovani, avidi di sapere, di conoscenza, di desiderio di cambiare il mondo.

Rossanda fu la guida di questo manipolo di maestri, anche perché suscitava rispetto e ammirazione senza confini tra noi della generazione che non aveva vissuto la Resistenza ma ne voleva ricalcare l’esempio morale e generoso.

Il trascorrere del tempo, nonostante i cambiamenti sociali e politici di valore storico – penso alla Caduta del Muro di Berlino che il gruppo del manifesto voleva abbattere già dal 1969 – non ha modificato il comportamento né ha inciso sulle scelte di Rossana: le sue idee sono ancora oggi forza intellettuale di un pensiero non usuale, capace di guardare e capire al di là delle apparenze e dei superficiali giudizi che hanno contagiato molti intellettuali, e non solo italiani.

Il suo non era e non poteva essere un pensiero «social», e in questo marcava una differenza con altri pensatori travolti dalla potenza comunicativa dei nuovi media. Era impensabile per lei, abituata a considerazioni meditate allergiche all’avanspettacolo politico.

Negli ultimi tempi ha marcato ancora di più il distacco dalla politica del quotidiano. D’altra parte è sempre stata poco incline al compromesso, come ha dimostrato per l’intera sua esistenza, non concedendo debolezze e fragilità neanche a se stessa. Però ha dimostrato così una grandissima forza, messa in campo quando accompagnò Lucio Magri nel suo ultimo viaggio. Il fratello più piccolo al quale diede il sostegno, l’aiuto necessario per compiere l’ultimo passo, senza ritorno, della sua vita.

Sarei ipocrita se dicessi che avevamo uno stesso punto di vista sulla politica, e anche se non ricordassi che oggi il manifesto è senza padrini e padroni, lo slogan che interpreta il credo assoluto di Luigi Pintor, inimitabile e irraggiungibile direttore del nostro giornale.

Ma da Rossana abbiamo imparato molto sull’etica, sulla moralità, sul rigore intellettuale, sul pensiero critico che oggi ci appartengono e che tutto il manifesto continuerà a far vivere.

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