Spero mi giustificherete se questa volta racconto una storia che può sembrare molto autoreferenziale. Ma ho proprio voglia di raccontarvela; e poi in realtà non è solo autoreferenziale. Adesso vi spiego perché.

Nei tre giorni scorsi si è tenuto a Roma il VII congresso della Fillea del Lazio, il sindacato degli edili. E a me è toccato l’onore di aprirlo, perché è cominciato con la proiezione di un antico filmato ritrovato negli archivi dal segretario Benedetto Truppa, su un fatto accaduto quando lui, e quasi tutti i delegati, non erano nemmeno nati: le immagini della manifestazione che gli edili promossero nel 1963, in risposta alla serrata con cui il brutale padronato, protagonista di quello che fu chiamato “il sacco di Roma”, aveva risposto ai primi scioperi che i lavoratori stavano sperimentando. Erano gli anni in cui stava esplodendo il boom edilizio e a migliaia erano stati reclutati nei nuovi cantieri. Arrivavano soprattutto dalle campagne del sud, dalla Ciociaria, dai monti attorno a Latina. Prendevano il treno alle 4 e mezzo del mattino, dopo esser arrivati a piedi dai loro paesi alla stazione, vagoni affollatissimi dove non c’era posto a sedere per i più, poi, a Roma, gli autobus fino alle nuove, estreme periferie. E così’ avanti e indietro tutti i giorni, una paga di fame, contratti ignorati, nessuna sicurezza sul lavoro, quasi tutti ancora semianalfabeti. La Fillea aveva insegnato ad alzare la testa.

Contro la serrata venne subito organizzata una manifestazione di protesta, a piazza SS. Apostoli, sotto il palazzo della associazione padronale. La piazza, come sapete, è stretta e chiusa e potete capire cosa accadde quando d’improvviso la folla compatta venne attaccata dai reparti della Celere a cavallo: scontri, fughe, lacrimogeni, botte. E ora vi racconto come la vidi io: ero a Botteghe Oscure, dove ero appena arrivata da una lunga militanza Fgci. Quando sento le sirene della polizia che risuonano fino alla vicinissima Piazza Venezia, esco e vado a vedere. Da Piazza SS. Apostoli arrivavano giù per via IV novembre gli edili in fuga. I poliziotti li fermavano e chiedevano di mostrare le loro mani, quelle di chi era edile subito riconoscibili perché nelle pieghe del palmo c’è la calce. E chi aveva calce veniva arrestato.

Mi dette l’impressione di una retata degli ebrei, contro “la razza” degli edili. Istintivamente misi la mano sul braccio di un celerino che stava portando via un lavoratore che cercava di divincolarsi, e così venni portata via anche io. Ci ritrovammo in 500 fermati alla caserma di Castro Pretorio, poi fecero una scelta accurata e per 34 il fermo fu tramutato in arresto: tutti quelli che avevano “precedenti” (quale comunista non li aveva in quegli anni di scontri violenti?).

Io fui fra gli arrestati: ero già stata in prigione 3 volte! Ci rimasi un mese e mezzo, il tempo del lunghissimo processo per direttissima che mi insegnò cosa era la “giustizia di classe”. Anzichè aiutare ad esprimersi i miei 33 compagni edili, il presidente del Trìbunale faceva di tutto per renderglielo più difficile, e io – da loro separata perché donna – fremevo nel vedere questo scandalo. La condanna fu durissima, e il presidente della Repubblica Segni si permise di mandare un telegramma di congratulazioni al presidente del Tribunale per la “condanna esemplare”. Metà dei compagni rimasero in galera, io uscii perché le mie condanne precedenti che mi avrebbero impedito di fruire della “condizionale” erano state cancellate perché nel frattempo, e con tantissimo ritardo, la Corte Costituzionale aveva abolito il Codice Rocco di pubblica sicurezza fascista in nome del quale ero stata condannata.

La Confederazione sindacale mondiale mandò a chiedere alla Cgil come mai non le avevano mai detto che in Italia anche le donne sono nell’edilizia: la cosa più bella di questo VII congresso è che ora le donne sono tantissime e molte con funzioni dirigenti.

La Fillea oltre alla proiezione del film ha stampato un libretto per tutti i delegati con l’immagine di una trentina di pagine dell’Unità che giorno per giorno raccontarono il processo. Le ultime due pagine sono datate novembre 1990 e c’è anche un mio articolo. Sono di quando fu rivelato, grazie a carte declassificate, che l’attacco selvaggio della Celere a Piazza SS Apostoli di vent’anni prima era stata opera della Gladio. Così si chiamava l’accordo fra i servizi segreti della Nato e i nostri, che il presidente Cossiga giustificò come legalmente previsto.

Due mesi dopo fu sciolto il Pci, come sapete. Non so se è per questo che un’indagine su quella vicenda non si è mai avuta. Ormai è così lontana che pochi la conoscono. Ma sono rimasta commossa perché in tantissimi degli interventi al congresso si è parlato di quanto era stato mostrato dal filmetto: molti sorpresi, ma tanti perché ne avevano sentito parlare dai loro padri.

Quell’evento del ’63 segna infatti un’epoca nella storia sindacale, in particolare per la Fillea: è da allora che comincia la sua ascesa e ne fa ora uno dei sindacati più forti d’Italia. Lo si è visto anche a questo congresso, aperto da una bellissima relazione di Truppa, rieletto all’unanimità, e arricchito da un dibattito molto interessante.

In queste settimane sto partecipando a molti congressi di categoria e territoriali della Cgil, in preparazione di quello nazionale che si terrà a marzo. Andrebbero raccontati tutti, uno per uno. Ma soprattutto mi piacerebbe che li seguissero tutti quelli che piangono perché non c’è più la sinistra. Perché, è vero, la sinistra in Parlamento è piccola e francamente quella tutt’ora più grossa, il Pd, faccio ormai fatica a definirla tale, non solo per via dei suoi entusiasmi per i valori occidentali della Nato, ma anche per il modo come sta affrontando i suoi problemi, anziché con una riflessione critica con un concorso. E però la sinistra in Italia ancora c’è, ec come. La ritrovo in tanti luoghi e occasioni, di cui raramente si parla. E innanzitutto la ritrovo, in questo caso anche per fortuna molto visibile, nelle iniziative e nei congressi della Cgil.