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Quei carichi di Gnl dirottati dall’Eni

Quei carichi di Gnl dirottati dall’Eni

Energie Per la ong Re:Common la compagnia non avrebbe rispettato alcune consegne al Pakistan per rivendere il gas ad altri paesi. A prezzi maggiorati

Pubblicato più di un anno faEdizione del 4 maggio 2023

Eni avrebbe guadagnato oltre mezzo miliardo di euro cancellando i carichi di gas promessi al Pakistan e vendendo il combustibile altrove, il tutto approfittando dell’aumento vertiginoso dei listini energetici provocato dalla guerra in Ucraina. A rivelarlo è un articolo pubblicato dall’agenzia di stampa internazionale Bloomberg, che ha potuto visionare in esclusiva l’analisi realizzata dall’Ong italiana ReCommon insieme a Source Material, un’organizzazione investigativa senza scopo di lucro.

In poche ore, la notizia è stata ripresa da diverse testate pakistane, suscitando non poche polemiche tra la popolazione, ancora oggi costretta a fare i conti con continui blackout e razionamenti, che hanno anche portato alla chiusura di industrie strategiche come quelle del tessile, lasciando in migliaia senza lavoro.

LA VICENDA HA INIZIO NEL 2017, quando la multinazionale italiana si è aggiudicata una commessa di lungo termine per la fornitura di gas liquefatto (GNL) al Pakistan fino al 2032. Ma da quando i listini energetici si sono impennati, Eni non ha rispettato diverse spedizioni, mettendo a repentaglio gli approvvigionamenti del Paese, che ora si trova sull’orlo del default finanziario.

Dai dati a cui abbiamo avuto accesso, si può desumere come, nel corso del 2021, Eni abbia rifornito il Pakistan attraverso il terminal di esportazione di Damietta, in Egitto, gestito proprio dal Cane a sei zampe. In autunno, però, quando i listini del gas raggiungono vette mai viste prima, i flussi verso il Pakistan si interrompono bruscamente e ha inizio la serie di cancellazioni da parte della società italiana. Allo stesso tempo, si registra un aumento notevole dei volumi di GNL egiziano venduto sui mercati, in particolare verso la Turchia, che emerge come il principale destinatario dei carichi dal terminal di Damietta. È noto che, in quei mesi, la compagnia turca Botas avesse acquistato GNL sul mercato a un prezzo esorbitante, pari a oltre il triplo di quello pakistano.

DALL’AUTUNNO DEL 2021 A OGGI, Botas avrebbe ricevuto ben 15 carichi di gas egiziano da parte di Eni, tutti provenienti dal terminal di Damietta. Nello stesso arco di tempo, la società italiana avrebbe notificato al Pakistan la cancellazione di 8 delle 20 consegne previste. A trasportare il gas verso la Turchia è la nave Maran Gas Kalymnos, che diverse fonti stampa riportano essere stata noleggiata proprio dal Cane a sei zampe.

L’aumento vertiginoso dei prezzi del gas può indurre i fornitori a cancellare le consegne e dirottare il gas sul mercato, anche se si tratta di eventi rarissimi. Nel caso in esame, rivendendo alla Turchia i carichi destinati al Pakistan, Eni avrebbe potuto realizzare un guadagno di circa mezzo miliardo di euro. Gli accordi siglati dal Pakistan prevedono infatti penali molto basse in caso di cancellazioni e nessuna sanzione aggiuntiva in caso di inadempienza volontaria o reiterata. Teoricamente, il contratto di fornitura tra la società italiana e il Pakistan durerà per altri 9 anni, anche se media locali hanno più volte riportato l’intenzione da parte del governo pakistano di muovere un contenzioso internazionale contro Eni, a causa del comportamento dell’azienda. Finora però non vi è stata alcuna conferma ufficiale da parte delle autorità. Contattata da Bloomberg, Eni ha negato di aver tratto vantaggi dalla situazione, ribadendo che tutte le cancellazioni sono state dovute ad eventi di forza maggiore e fuori dal controllo della società. L’azienda ha aggiunto che «solamente quando non è stato possibile trovare soluzioni alternative reciprocamente accettabili, sono state applicate le clausole contrattuali previste per la mancanza consegna» dei carichi.

IN PAKISTAN, INTANTO, GLI EFFETTI della crisi energetica non accennano a diminuire. «Il GNL non fa più parte della nostra strategia energetica di lungo termine», ha dichiarato a febbraio il ministro dell’Energia Khurram Dastgir Khan prima di annunciare un piano per quadruplicare la flotta nazionale di centrali a carbone. Una mossa disperata per ridurre il prezzo dell’elettricità, ma che avrà conseguenze gravissime per la salute delle persone e per il clima. Il governo ha inoltre recentemente siglato un accordo con la Russia per l’acquisto di greggio a basso costo, che consentirà al Cremlino di trovare nuovi sbocchi per le sue esportazioni energetiche, colpite duramente dalle sanzioni introdotte a seguito dell’invasione dell’Ucraina.

Mentre il Pakistan è a un passo dal default, Eni continua a registrare profitti record. Pochi giorni fa, la società ha annunciato un utile operativo di 4,6 miliardi di euro nel primo trimestre dell’anno, che si aggiungono ai 20 miliardi generati nel 2022. Un fiume di denaro che finirà in buona parte ai suoi azionisti, sotto forma di dividendi, nonché a finanziare nuove trivellazioni di petrolio e gas.Come riportato da un recente studio pubblicato dalle organizzazioni Reclaim Finance, ReCommon e Greenpeace, meno del 20% degli investimenti previsti dal Cane a sei zampe nei prossimi anni andranno a finanziare progetti di energia rinnovabile. Al contrario, la multinazionale ha intenzione di aumentare la propria produzione di idrocarburi, arrivando a 1,9 milioni di barili di petrolio equivalente al giorno. Qualora l’obiettivo venisse raggiunto, «la sua produzione sarà superiore del 70% al livello richiesto per allinearsi agli scenari di riduzione delle emissioni Net Zero Emission – NZE dell’Agenzia Internazionale dell’Energia», conclude l’analisi.

MERCOLEDÌ 10 MAGGIO si terrà l’Assemblea degli azionisti di Eni, che per il quarto anno consecutivo si svolgerà a porte chiuse, grazie a un emendamento al Decreto Milleproroghe approvato dal governo Meloni,che proroga la possibilità per le aziende di tenere le assemblee in via telematica «a causa dell’emergenza sanitaria in corso». Decisione duramente criticata da parte di varie realtà della società civile, che denunciano l’ulteriore restrizione degli spazi democratici e della possibilità di monitorare e sollevare critiche sull’operato dei grandi gruppi industriali e finanziari italiani.

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