Quei cari e irresistibili habituè
Cannes 69 Il cinema americano dopo un anno di transizione torna in forze con una lunga serie di titoli. Doppia presenza per Jim Jarmush, «Paterson» in gara e con «Gimme danger», un doc sugli Stooges. Il texano Jeff Nichols in concorso con «Loving», sulla coppia interetnica incarcerata nel 1958 in Virginia
Cannes 69 Il cinema americano dopo un anno di transizione torna in forze con una lunga serie di titoli. Doppia presenza per Jim Jarmush, «Paterson» in gara e con «Gimme danger», un doc sugli Stooges. Il texano Jeff Nichols in concorso con «Loving», sulla coppia interetnica incarcerata nel 1958 in Virginia
Dopo un 2015 rarefatto, il cinema americano è in forza a Cannes 2016; anche se Thierry Fremaux, come al solito, evita la sorpresa e la fatica della ricerca, preferendo affidarsi ai suoi habituè. In concorso, Jim Jarmush arriva con Paterson, dal nome della cittadina del New Jersey (lo stato in cui aveva ambientato Ghost Dog) dove Adam Driver è un autista di pullman che scrive poesie e ama Goldshitef Farahani, molto più inquieta di lui. Jarmush porta a Cannes anche Gimme Danger, il documentario sugli Stooges cui lavorava da anni, e che sarà proiettato alla presenza del leader della band, Iggy Pop.
Nuovamente a Cannes il texano Jeff Nichols (al festival con Take Shelter e Mud) che, dopo la parentesi da studio di Midnight Special, torna alla produzione indipendente e a una vena più realistica con Loving, interpretato da Joel Edgerton, Michael Shannon e Ruth Negga, sul caso di una coppia della Virginia che, nel 1958, fu incarcerata perché il matrimonio interrazziale (Richard Loving era bianco, sua moglie Mildred, parte afroamericana, parte Cherokee) non era permesso dalle leggi dello stato. La loro storia era già stata raccontata nel bel documentario di Nancy Buirski (2011), The Loving Story, da cui è tratto il film di Nichols. Nel 1967, la Corte suprema americana deliberò, all’unanimità a favore dei Loving, obbligando così sedici stati a eliminare le leggi che proibivano le unioni tra razze diverse (l’Alabama ci arrivò solo nel 2.000). Ultimo Usa in concorso – e relegato al venerdì di chiusura (ma è andata peggio al grande Paul Verhoeven che passa l’ultimo sabato, quando tutti hanno già fatto le valigie), The Last Face, di Sean Penn (alla sua prima regia dopo Into the Wild) , racconta l’amour fou tra il direttore di un’agenzia internazionale per l’aiuto in Africa (Charlize Theron) e un dottore alla Medici senza frontiere (Javier Bardem), sullo sfondo dei conflitti sociopolitici in nella zona occidentale del continente.
È invece fuori concorso il film d’apertura, Cafè Society, di Woody Allen (già «opener» nel 2011, con Midnight in Paris). Seguendo l’esempio di Berlino (Ave Cesare!), e una lunga tradizione di successi cannensi che include Barton Fink dei Coen e The Player di Robert Altman, il festival affida il suo incipit alla «vecchia» Hollywood (siamo negli anni ’30, insieme a Kristen Stewart, Jesse Eisenberg e Blake Lively), con cui, in Europa, raramente si sbaglia. Ancora f.c. l’ultimo Spielberg, The BFG, e l’adattamento del magnifico libro di Roald Dahl (1982, in Italia, Il GGG, pubblicato da Salani), storia di sogni, orrori e amore tra una bambina (l’inglese Ruby Barnhill) e il gigante vegetariano che l’ha rapita (Mark Rylance, la spia sovietica da Oscar in Un ponte di spie). Atteso ritorno di Spielberg alla fantasy, dopo la lunga parantesi storica (War Horse, Lincoln, Il ponte delle spie), The BFG è l’ultimo copione da Melissa Mathison, sceneggiatrice di E.T., mancata nell’autunno del 2014. Parte del filone su Wall Street che ha visto i successi di The Big Short e della serie tv Billions, ma – almeno dal trailer – un film meno affascinato da quel mondo e più rivolto a rappresentare la grande frustrazione americana che ha reso possibile il trumpismo, programmato nello slot che, l’anno scorso, portò fortuna a Mad Max: Fury Road, Money Monster, firmato da Jodie Foster, ambientato durante la diretta tv di un talk show di finanza condotto da George Clooney e nel cui studio appare improvvisamente un ragazzo che vuole farsi saltare in aria. Julia Roberts è in cabina di regia.
Con Joel Silver alla produzione, Shane Black (L’ultimo boyscout) regista, Russell Crowe e Ryan Gosling tra gli interpreti, The Nice Guys, profuma dell’ipertrofico, spesso politically incorrect, grande cinema d’azione hollywoodiano a cavallo tra gli anni ottanta e novanta. C’è d’ augurarsi che non sia stato annacquato al gusto più timido di oggi.
Gusto che, evidentemente, ha fatto sì che il feroce, molto divertente, nuovo film di Paul Scharder, Dog Eat Dog, dal romanzo di Eddie Bunker (Cane magia cane, Einaudi 1999) sia finito in chiusura alla Quinzaine invece che in una delle sezioni ufficiali.
Solo un film americano in Un Certain Regard: è Capitan Fantastic, diretto dall’attore (Silicon Valley, American Horror Story) Matt Ross, con Viggo Mortensen, patriarca di una famiglia cresciuta in una specie di wilderness hippie che deve rientrare nella società.
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