Chi si ricorda della rotta balcanica? La visita di ieri dei ministri degli Esteri e della Difesa Antonio Tajani e Guido Crosetto a Belgrado e Pristina ha riacceso i riflettori su un fenomeno che da tempo preoccupa Bruxelles, per niente contenta che la rotta balcanica sia diventata nuovamente la prima via di accesso all’Unione europea per rifugiati e migranti, più importante anche del Mediterraneo centrale. I dati di riferimento sono quelli dell’agenzia Frontex, che registra 128mila attraversamenti della rotta balcanica nei primi dieci mesi del 2022. Nello stesso periodo 85mila persone hanno attraversato il Mediterraneo centrale. Si tratta di numeri bassi se confrontati con quelli del 2015, quando Frontex segnalava quasi 750mila attraversamenti in un anno, ma il flusso è più che raddoppiato rispetto all’anno scorso. Siriani, afghani e turchi figurano tra le nazionalità più frequenti. La maggior parte di loro, una volta arrivati in Grecia dalla Turchia, attraversa i Balcani fino alla Bosnia-Erzegovina, per poi entrare nell’Unione europea in Croazia.

«È STATO UN ANNO STRANO – commenta Silvia Maraone dell’associazione Ipsia, basata a Bihac nel nord della Bosnia-Erzegovina – da un lato registriamo un numero di arrivi più alto rispetto all’anno scorso, dall’altro la permanenza media in Bosnia è molto bassa. Ecco che i quattro campi profughi bosniaci non sono più pieni».

L’ULTIMO RAPPORTO dell’ufficio di Sarajevo dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) indica infatti che migranti e rifugiati restano in media al massimo 11 giorni in Bosnia-Erzegovina prima di entrare in Croazia. Fino a pochi mesi fa, la polizia croata era nota per i suoi respingimenti illegali (pushbacks) accompagnati da violenze e persino torture. Chi tentava the game – così è detto il “gioco” crudele dell’attraversare la frontiera – rischiava non solo di essere rispedito in Bosnia con la forza, ma si vedeva anche sottrarre denaro e telefono cellulare. I respinti finivano per essere bloccati per mesi nel limbo dei Balcani, alle porte dell’Ue. La situazione è forse cambiata?

«I RESPINGIMENTI ci sono ancora, ma sono attuati con meno violenza», risponde Maraone. Da quest’estate, inoltre, la polizia croata consegna ai migranti un foglio di via, che dà loro il permesso di circolare sul territorio croato per sette giorni prima di lasciare il paese. «Non c’è una vera logica per cui alcuni sono respinti mentre altri ricevono questo documento e possono proseguire», prosegue Maraone. «La Croazia dovrebbe entrare a far parte dell’area Schengen a partire dal 1° gennaio. È per questo, credo, che la polizia croata ha cominciato a rispettare maggiormente le regole», afferma Tea Vidovic, dell’organizzazione non governativa Centro studi per la pace (Cms) di Zagabria. Grazie al nuovo foglio di via, chi viaggia non deve più attraversare a piedi (e di nascosto) il territorio nazionale, ma può finalmente utilizzare autobus e treni per raggiungere la frontiera successiva, quella con la Slovenia. È per questo che presso le stazioni ferroviarie di Zagabria e Fiume sono stati predisposti dei punti di ristoro (ma non di pernottamento) per i migranti in transito.

Passati i Balcani, la rotta porta dunque a Trieste, dove le difficoltà del viaggio non finiscono, anzi. «Gli arrivi sono aumentati sia per il minor numero di respingimenti da parte della Croazia, sia – e direi forse soprattutto – per il peggioramento della situazione nei paesi di origine, come nel caso dell’Afghanistan», spiega Gianfranco Schiavone, presidente del Consorzio Italiano Solidarietà (CSI) a Trieste. «Tuttavia, questo aumento non ha di per sé un carattere emergenziale. Quello che rende la situazione attuale molto grave è che dal mese di luglio è saltato il sistema dei trasferimenti dei richiedenti asilo sul territorio nazionale. A fronte di circa 2000 arrivi mensili a Trieste, di cui diverse centinaia fanno domanda di asilo, appena 50/70 persone vengono trasferite ogni settimana», prosegue Schiavone, che accusa: «Il governo rallenta di proposito i trasferimenti per creare una situazione insostenibile e poter dire che l’Italia è invasa e che l’unica soluzione sono i respingimenti».

IN VIAGGIO A BELGRADO, Tajani e Crosetto hanno probabilmente cercato rassicurazioni di questo tipo. Il governo serbo deve interrompere – come ha promesso a fine ottobre – la sua politica di esenzione del visto nei confronti dei cittadini di Cuba, Tunisia e Burundi (molto numerosi quest’anno tra i migranti lungo la rotta balcanica) e deve attuare controlli più severi alle frontiere. A fine ottobre, la Commissione europea ha predisposto un assegno da 39,3 milioni di euro per «rafforzare la gestione dei confini nei Balcani occidentali» e Bruxelles ha annunciato anche un aumento del 60% dei fondi destinati ai paesi della regione per aiutarli a «sviluppare dei sistemi efficaci di gestione delle migrazioni, compresi l’asilo e l’accoglienza, la sicurezza delle frontiere e i rimpatri», come ha detto il Commissario europeo all’Allargamento Olivér Várhelyi. La svolta arriverà probabilmente a inizio 2023, con l’ingresso della Croazia in Schengen.

Nel frattempo, nell’attesa che la Fortezza Europa serri nuovamente le sue porte, chi arriva a Trieste e fa domanda di asilo entra in un «tunnel della disperazione», per usare le parole di Gianfranco Schiavone. «Almeno 340 aspettano oggi una risposta alla loro domanda d’asilo. Metà di loro lo fa da almeno un mese. Aspettano per strada, al freddo, sotto la pioggia e il vento».