Il delta del Po è invaso dal mare, il cuneo salino è risalito fino a 30 chilometri. La situazione in Pianura padana si aggrava nonostante le piogge sparse, in particolare tra Lombardia e Piemonte. Ben accolte ma scarse dopo mesi senza precipitazioni. Il suolo resta assetato. In Veneto, il governatore Luca Zaia lancia l’allarme, «è drammatico», e insiste sullo stato di emergenza che tarda arrivare: «Ci aiuterebbe ad aiutare chi sta subendo danni».

I tecnici del governo ci stanno lavorando e la prossima settimana dovrebbe arrivare l’atteso decreto siccità, che era già previsto nei giorni scorsi. Con la Protezione civile stanno individuando una zona rossa che coinvolge Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Marche e Lazio. Ma l’area potrebbe estendersi, lo ha confermato il ministro alle Politiche Agricole Stefano Patuanelli in un’intervista a Fanpage: «Le aree cosiddette rosse, quelle in cui c’è una diminuzione dei livelli dei fiumi e dei laghi e dove la risorsa idrica sta mancando, si stanno allargando sempre di più e quindi quasi tutto il Paese nel corso delle prossime settimane ci aspettiamo che entri in zona rossa».

Il dpcm dovrebbe prevedere due interventi: uno relativo all’agricoltura attraverso indennizzi qualora «il danno provocato superi il 30% della produzione lorda vendibile» e un altro sulle misure di razionamento (divieto di uso per fini non domestici, chiusura dei rubinetti nelle ore notturne e delle fontane pubbliche), provvedimenti già presi da alcuni comuni. Per Patuanelli bisogna «lavorare con gli strumenti a disposizione sul doppio binario dello stato di emergenza e di quello di calamità per affrontare la contingenza e arrivare alla migliore gestione possibile della risorsa acqua».

E, in un’intervista al Sole 24 ore, aggiunge: «Scommettere con decisione sul sistema delle assicurazioni in agricoltura per arrivare, in un tempo di evidenti cambiamenti climatici, alla normalizzazione della gestione del rischio in agricoltura e, più avanti ancora, intervenire sulle infrastrutture irrigue prima con le risorse del Pnrr e poi con una nuova programmazione pluriennale».

Le associazioni ambientaliste invocano, però, un cambio di paradigma. Lo dice Greenpeace, attraverso le parole di Simona Savini, sottolineando la necessità di un nuovo modello agricolo: «Se vogliamo affrontare il problema siccità, ormai diventato un fenomeno strutturale e non più solo emergenziale, dobbiamo ottimizzare al meglio le risorse idriche, mettendo in discussione come e per quali scopi utilizziamo questo bene sempre più scarso, a partire dai consumi per l’agricoltura».

È il settore che più necessita di risorse idriche, l’Italia è il secondo Paese in Europa per ricorso all’irrigazione. «Sono a rischio soprattutto colture come mais e soia, la cui reperibilità sul mercato è già complicata a causa della guerra in Ucraina. Queste materie prime vengono quasi interamente indirizzate alla filiera zootecnica. C’è dunque bisogno di ripensare il sistema degli allevamenti intensivi che, oltre ad avere impatti importanti sul clima del Pianeta, consuma oltre un terzo di tutta l’acqua usata dal settore agricolo». Greenpeace contesta la proposta di Coldiretti «di seminare mais sui terreni cosiddetti a riposo», perché «si devono proteggere i terreni agricoli da ulteriori stress».

I numeri della crisi idrica sono pesanti. In Piemonte, in particolare nella zona orientale, le riserve sono al minimo: «Abbiamo un deficit del 70% su Novara e del 55% sul Verbano Cusio Ossola, che – spiega il direttore di Arpa Angelo Robotto – sono i territori più critici della regione. Il Lago Maggiore ha un livello di 3 metri più basso della norma e un tasso di riempimento del 18%, il che vuol dire che manca l’82% dell’acqua. E la pioggia delle scorse ore non ha cambiato niente: con quei quantitativi per reintegrare ciò che manca dovrebbe piovere per 100 giorni consecutivi».

Nel lato lombardo del Maggiore sono stati sospesi gli attracchi delle imbarcazioni. E, proprio ieri, Attilio Fontana, dopo un giovedì col freno tirato, ha dichiarato lo stato di emergenza regionale per limitare l’uso dell’acqua. Anche il comparto apicoltori lancia, infine, un allarme per l’aumento delle temperature: «Negli ultimi cinque anni, più del 50% della produzione di miele in Abruzzo è stata bruciata dal cambiamento climatico».