Finirà forse come per il marziano a Roma di Flaiano: passata l’infatuazione, diremo a ChatGPT «scànsati» e lo dimenticheremo, pronti ad abbracciare la successiva novità del momento. Ma adesso sono (siamo) tutti pazzi per questo «prototipo di chatbot basato su intelligenza artificiale e machine learning sviluppato da Open AI e specializzato nella conversazione con un utente umano» (citiamo, naturalmente, dalla voce che Wikipedia, come sempre tempestivissima, gli ha dedicato a ridosso del suo esordio, il 30 novembre 2022).
E così, è lunghissima la coda virtuale che – digitata la formula magica chat.openai.com – consente di accedere altrettanto virtualmente al cospetto di Chat Generative Pre-trained Transformer (questo il nome per esteso del bot) per chiedergli di dimostrare i suoi talenti. C’è chi gli propone di scrivere un sonetto, chi lo invita a comporre un rap, chi lo sfida a emulare Arthur Conan Doyle con un racconto che abbia come protagonista Sherlock Holmes. Ma non c’è bisogno di pregare, ChatGPT non si tira mai indietro e i risultati sono, tutto sommato, più che decenti per un’entità che non ha ancora compiuto due mesi.

Non la pensano così, però, i redattori del giornale online indiano Scroll che hanno domandato all’infaticabile prototipo di recensire alcuni testi narrativi vecchi e nuovi, dal Grande Gatsby di Francis Scott Fitzgerald all’Interprete delle malattie di Jhumpa Lahiri. Ed ecco, per esempio, cosa dice ChatGPT del Racconto dell’ancella di Margaret Atwood: «Un romanzo potente e stimolante che esplora i temi della disuguaglianza di genere, del potere e dei pericoli del totalitarismo. La scrittura della Atwood è acuta e incisiva e la sua rappresentazione delle esperienze delle ancelle è al contempo commovente e inquietante. I personaggi sono articolati e ben delineati, e la trama è avvincente e scorrevole».

Severo il giudizio di Scroll: «A quanto pare il bot si basa su informazioni generiche, commenti standard e una profusione di stereotipi». Ma non potrebbe essere altrimenti, visto che ChatGPT si alimenta con quello che passa il convento, cioè la Rete, e quanto al commento conclusivo di Scroll, che «ci vorrà del tempo prima che i recensori umani diventino superflui», ci piacerebbe pensarlo, ma tendiamo a concordare con M.A. Orthofer su Literary Saloon: le cose che scrive ChatGPT «non sono peggio di metà delle recensioni» che si leggono online.
Se insomma l’intelligenza artificiale non produce opere di grande ingegno, forse sarebbe il caso di chiedersi se il problema non stia nell’intelligenza «naturale» che la alimenta. Per fortuna il territorio degli umani in carne e ossa continua nonostante tutto a riservare sorprese: è di poche settimane fa la pubblicazione, grazie alla casa editrice statunitense New Directions, di The Bloater, un romanzo molto apprezzato al tempo della sua prima uscita, nel 1968, e poi svanito nel nulla.

Come spiega Audrey Wollen sul New Yorker, a decretare la scomparsa del libro è stata la stessa autrice, Rosemary Tonks, poetessa nota nella swinging London di fine anni Sessanta (fra gli estimatori Philip Larkin, che l’ha inserita nella sua antologia sulla poesia inglese del Novecento), diventata «in seguito a una serie di crisi devastanti culminate in una cecità temporanea» una cristiana fondamentalista, acerrima nemica di quella che era stata, al punto di «prelevare sistematicamente i suoi libri dalle biblioteche di tutta l’Inghilterra per bruciarli nel giardino di casa».
Solo ora, a otto anni dalla sua morte, il romanzo (divertentissimo, giura Wollen) è riemerso e si spera che sia presto pubblicato anche qui. Qualcosa ci dice che sarà una lettura più stimolante dei testi di ChatGPT.