Economia

Il sociologo: «Quando lo Stato specula sulle ludopatie e la miseria»

Il sociologo: «Quando lo Stato specula sulle ludopatie e la miseria»

Legge di stabilità Fare cassa con una misura irra­zio­nale e reces­siva: pre­vi­sta l’apertura di 22 mila sale da gioco per un 1 miliardo. Colto in casta­gna, Palazzo Chigi smen­ti­sce: nes­suna nuova licenza. Inter­vi­sta a Mau­ri­zio Fia­sco, socio­logo della Con­sulta Anti-usura: «L’economia delle slot pro­duce danni alle per­sone e all’erario». «La classe poli­tica sfrutta un’ebbrezza col­let­tiva ha tra­sfor­mato un popolo di rispar­mia­tori in un popolo di gio­ca­tori d’azzardo»

Pubblicato quasi 9 anni faEdizione del 20 ottobre 2015

Lo stato biscazziere continua a speculare sulle ludopatie. Con la legge di stabilità il governo Renzi, che solo due anni fa aveva condannato l’esecutivo Letta per lo stesso vizio, prevede di aprire 22mila nuove sale giochi e incassare un miliardo di euro. «È inaccettabile che di qua si denunci la crescita delle ludopatie e di là si continui a spingere il gioco – ha detto Don Luigi Ciotti di Libera che da tempo combatte contro l’economia dell’azzardo di stato – è una ipocrisia. E lo sanno». «Da un aumento molto ridotto delle tasse alle concessionarie di gioco d’azzardo arriverà pochissimo – sostiene Gianluca Castaldi capogruppo del Movimento 5 Stelle al Senato – ma vi sarà invece un boom di sale scommesse, con una gara per la concessione di 15.000 agenzie e 7.000 corner. Con queste misure Renzi sembra solo alla ricerca del consenso elettorale sul mercato della miseria». «Dovrebbe essere vietata totalmente la pubblicità su giornali e tv – afferma mons. Mario Toso, membro della Commissione Episcopale – Proprio perchè questa via della pubblicità è uno specchietto per le allodole che colpisce soprattutto le persone più deboli e più esposte e più bisognose di sostegno».

Il sociologo Maurizio Fiasco
Il sociologo Maurizio Fiasco

A Maurizio Fiasco, sociologo della Consulta nazionale antiusura e presidente dell’associazione Alea, insignito da Mattarella del titolo di Ufficiale dell’ordine al merito della Repubblica, chiediamo come ci si possa contraddire in maniera così plateale. «Non sono nella testa di Renzi – risponde l’autore della ricerca Il gioco d’azzardo e le sue conseguenze sulla società italiana – Probabilmente questo è accaduto perché esiste una forte pressione sulla politica da parte del sistema del gioco. Al suo posto chiederei conto della rozzezza del paradigma economico proposto dai tecnici. Questo provvedimento è una scorciatoia cognitiva prodotta da un cumulo di incompetenze».

Qual è la più importante?
Manca una valutazione ponderata dei costi e benefici sul welfare, sull’economia, sulla sicurezza pubblica e la salute delle persone. Oltre ai danni che provocherà sui comportamenti della popolazione e sulle sue patologie, l’aspetto più sconcertante di questa decisione è la sua irrazionalità economica. L’azzardo è infatti un moltiplicatore economico negativo. Investendo 100, il ritorno è di 75. È una tendenza, dimostrata da una sterminata letteratura internazionale diffusa dagli Stati Uniti all’Australia, molto meno in Italia, che ha effetti esattamente opposti rispetto a quelli dichiarati. Sarà una palla al piede per la ripresa e un boomerang.

Per quale ragione?
L’economia dell’azzardo riduce le entrate tributarie dello Stato e contribuisce alla sua crisi fiscale, aumenta la depressione dei consumi, ha un effetto di mantenimento del ciclo recessivo e frena la possibilità di una ripresa della domanda interna di beni e servizi.

Quali sono i consumi da incentivare?

Quelli della filiera lunga che hanno producono maggiori benefici sul Pil, sull’occupazione e sulle entrate fiscali. I prodotti della manifattura, ad esempio, oppure quelli legati al turismo o al tempo libero. Mille euro spesi per una vacanza hanno un impatto sulle entrate infinitamente più apprezzabili dei mille spesi per l’azzardo. In questo caso il prelievo erariale unico oscilla dal 2 per mille al 12,5%, ci sono imposte dirette come l’Irpeg e basta. Se invece si comprasse un’automobile, ad esempio, si pagherebbe anche l’Iva e poi si alimenterebbe l’indotto: il carrozziere, il benzinaio, la manutenzione stradale. Nell’industria dell’auto 45 miliardi di spesa alimentano un giro di affari da 200 miliardi e da un milione di occupati. Anche nel caso degli investimenti nella ricerca il ritorno è molto alto. Questi sono casi di moltiplicatore positivo, direbbe Keynes. Alimentare l’azzardo porta all’inasprimento della criminalità, non riduce la devianza e peggiora le patologie psicologiche. Fa male sia alle persone che alla spesa pubblica. Se si vuole un vero sviluppo bisogna cambiare approccio. Altrimenti «crescita» o «consumi» diventano frasi fatte.

Perché i governi cadono nello stesso vizietto?
Usano questa scorciatoia perché allo Stato servono soldi. Pochi, maledetti e subito a scapito di quelli prodotti da una politica economica più lungimirante.

Cosa rende attraente l’azzardo agli occhi della classe politica?
Dopo la privatizzazione di importanti settori dell’economia italiana l’unico che è cresciuto in maniera imponente, per decisione politica e non per processo spontaneo, è stato il gioco d’azzardo. Parliamo di un giro di affari imponente: il 10% dei consumi è generato da questa economia. Quello del gioco d’azzardo è un mercato protetto alimentato dalla concorrenza sleale dello Stato, che ne detiene il monopolio, sugli altri competitori. La classe politica prova l’ebbrezza di determinare i destini di un comparto che ha numeri rilevanti. Dopo che gli è stato tolto il potere sulle banche e sull’industria si rivale sui giochi per mantenerne uno. Paradossalmente, se fossimo in un paese interamente liberista, un boom di questa portata non sarebbe mai stato raggiunto.

In una crisi devastante aumentano le ludopatie. Cosa permette la riproduzione di questo sistema?
Si è creato un circuito collusivo in cui coloro che si professano contrari all’azzardo omettono tratti importanti della realtà. Di solito si sostiene che la dipendenza da azzardo è un problema che riguarda una porzione limitata e fragile della popolazione, con profili di personalità problematici. In realtà siamo di fronte a una patologia sistemica non limitabile al pazzo o al maniaco. È un’ebbrezza collettiva che ha trasformato un paese di risparmiatori e di giocatori moderati in un popolo di giocatori d’azzardo. Prima le donne non giocavano, oggi giocano quasi quanto gli uomini. Alle slot machine non ci sono solo i giovani, ma anche i pensionati.

Cosa significa questo dal punto di vista culturale?
L’economia dell’azzardo riproduce un altro vizio italico: la separazione tra popolo e intellettuali, tra la vita quotidiana delle masse e quella di chi ha cultura. Quando parlo con i professori, gli avvocati molti di loro non conoscono nemmeno l’abc di questa realtà. Le classi colte non vedono questa tendenza, anche se i quartieri in cui vivono sono pieni di sale giochi. Questo può essere il riflesso del combinarsi del potere della classe politica e il distacco tra gli strati sociali del nostro paese. Quelli che stanno in basso vivono qualcosa che non è condivisa da chi ha un livello di istruzione più alto.

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