Quando l’esclusa fu la nera Hamer: è questa l’America
Fannie Lou Hamer
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Quando l’esclusa fu la nera Hamer: è questa l’America

1964-2024 Sessant’anni prima che Kamala Harris prendesse la parola a Chicago per accettare la candidatura alla presidenza degli Stati uniti per il partito democratico, un’altra donna si sedeva davanti alla Commissione per le credenziali della convenzione Democratica, che nel 1964 si teneva a Atlantic City. Fannie Lou Hamer era una bracciante del Mississippi, nata nel 1917
Pubblicato 3 mesi faEdizione del 24 agosto 2024

La storia non si ripete, ma ci sono somiglianze tra passato e presente che fanno riflettere e dovrebbero aiutarci a evitare di compiere gli stessi errori. Sessant’anni prima che Kamala Harris prendesse la parola a Chicago per accettare la candidatura alla presidenza degli Stati uniti per il partito democratico, un’altra donna si sedeva davanti alla Commissione per le credenziali della convenzione Democratica, che nel 1964 si teneva a Atlantic City. Fannie Lou Hamer era una bracciante del Mississippi, nata nel 1917.

Era diventata una leader del movimento per i diritti civili dei neri e aveva dato un contributo decisivo a organizzare la Freedom Summer che aveva visto coinvolti, nelle settimane precedenti alla convenzione, attivisti bianchi (molti dei quali studenti) e neri, impegnati in una massiccia campagna per promuovere la registrazione degli elettori neri pesantemente discriminati per via del regime di segregazione (le famigerate disposizioni legali Jim Crow) adottato in diversi stati della federazione per proteggere la supremazia dei bianchi. La testimonianza di Hamer era stata ammessa: era la vice presidente del Mississippi Freedom Party, una formazione politica che chiedeva di mettere in discussione la composizione della delegazione che lo stato del sud aveva inviato alla convenzione, in quanto non rappresentativa della popolazione nera.

La deposizione di Hamer era aperta alla stampa e fu trasmessa in diretta dalle reti nazionali. Pur non essendo una persona istruita, Hamer sapeva raccontare una storia in modo chiaro ed efficace: la sua esperienza apriva uno squarcio sulla realtà della segregazione razziale e della violenza con cui era imposta. L’effetto delle sue parole fu così dirompente che Lyndon Johnson, il vice presidente che dopo la morte di Kennedy ne aveva preso il posto alla Casa bianca ed era in procinto di ricevere l’investitura come candidato per un nuovo mandato, decise su due piedi di convocare una conferenza stampa.

La diretta fu interrotta per dare la parola a Johnson, che in quel momento aveva priorità come presidente in carica, ma l’attenzione che la deposizione di Hamer stava suscitando fu tale che l’audizione fu comunque trasmessa più tardi in differita. Milioni di persone in tutto il paese ascoltarono col fiato sospeso il racconto dei pestaggi subiti da Hamer, appresero del sadismo con cui erano stati perpetrati dalla polizia. La sera del 22 agosto tanti si chiesero, come aveva fatto Hamer nel corso della sua deposizione: «is this America?». È questa l’America?

La decisione di contestare le credenziali della delegazione del Mississippi alla convenzione era stata presa dall’ala più radicale del movimento dei diritti civili, che sperava in questo modo di dare voce ai neri del sud esclusi dalla rappresentanza politica, e di contribuire in questo modo a ridimensionare il peso dei Dixiecrats, i Democratici del sud, in gran parte a favore della segregazione, all’interno del partito. La mossa non aveva il consenso di tutte le componenti del movimento, lo stesso Martin Luther King era per adottare un linea più prudente, ma rimaneva comunque nel solco del metodo non violento e rispettoso delle procedure democratiche che era stato fino a quel momento largamente condiviso dagli attivisti in difesa dei diritti dei neri.

La proposta, tuttavia, non fu accettata. Al termine di una drammatica trattativa il partito decise di rifiutare la richiesta del Mississippi Freedom Party, proponendo soluzioni che di fatto escludevano i suoi rappresentanti dall’accesso al voto. Per i liberali centristi che dominavano il partito, il rischio di perdere il consenso dei democratici “ufficiali” del sud era troppo grande, e quindi il tentativo andava stroncato.

Secondo Todd Gitlin è a questo episodio che si deve l’inizio della frattura che condusse alla radicalizzazione di una parte del movimento dei diritti civili e all’emersione della New Left in una posizione fortemente critica nei confronti dello stesso partito democratico. Gli interventi contro la segregazione razziale presi dall’amministrazione Johnson, per quanto importanti, furono progressivamente messi in secondo piano dall’evoluzione della politica estera statunitense, con il sempre maggiore coinvolgimento in Vietnam, e aprirono la strada, grazie alla frattura tra le due fazioni della sinistra, all’ascesa della destra conservatrice.

Ascoltando il discorso di Kamala Harris il 22 agosto, era difficile non pensare a Fannie Lou Hamer e alla sua domanda scomoda. Ancora oggi, sessant’anni dopo, è questa l’America? È davvero questa la «grande nazione» che si richiama ai principi della dichiarazione d’indipendenza e degli emendamenti post-ricostruzione e poi finanzia e sostiene sul piano internazionale un governo che sta sterminando la popolazione civile a Gaza? «Nessuno può essere libero, se non sono liberi tutti» era uno degli slogan del movimento dei diritti civili. Enuncia un principio di giustizia che vale ancora oggi come valeva nel 1964. Sul rispetto di questo principio si misura la credibilità della sfida che Kamala Harris dovrà affrontare nei prossimi mesi.

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