Con Dopo internet. Le reti digitali tra capitale e comune (traduzione di Beatrice Ferrara, Nero, pp. 153, euro 18), Tiziana Terranova ricostruisce, con agilità e al contempo con precisione, la trasformazione di «quella che nei decenni precedenti chiamavamo ’Internet’ nell’ingente infrastruttura che ha unito la connessione e il calcolo», in «un complesso di servizi online di proprietà privata che si definiscono ’piattaforme’», nel «Corporate Platform Complex governato da una manciata di aziende molto grandi e molto potenti».

Terranova coglie questa trasformazione in diretta in una serie di articoli pubblicati dal 2009 al 2020 (o al 2022 se si considera anche l’Introduzione) che vanno a disporsi nei capitoli di questo libro. Articoli che l’autrice lascia volutamente invariati in modo che siano «documento del lavoro teorico» che ha registrato «la sussunzione (di Internet) nel momento in cui avveniva», ossia subito dopo le crisi finanziarie del 2001 e del 2008 per arrivare fino «al primo assaggio di un’epidemia realmente planetaria, subito seguita da una potenziale guerra mondiale nucleare».

DI CRISI IN CRISI – ma si sa che il Capitale di crisi si alimenta per continuare a crescere in estensione e profondità –, quello a cui si assiste è una presa sempre più ferrea e capillare del «lavoro libero e gratuito degli utenti, il cui valore veniva prontamente riconvertito in risorsa estrattiva apparentemente inerte, accumulata nelle miniere di dati archiviati in quegli anonimi blocchi di cemento simili a bunker chiamati server farm».

Con questa progressiva riduzione ad enclosure di un comune costituito dal «sapere vivo» e dalle «forme di cooperazione sociale che entrano nel processo di produzione e riproduzione di beni e forme di vita condivise» si realizza la metamorfosi dell’utente in (tossico) dipendente, dell’hacker in influencer e della «minaccia della Moltitudine nel fantasma del Popolo» sempre pronto a «portare avanti una guerra contro gli Altri Popoli» o a «costruire barriere» per tenere lontano il pericolo che «questi ultimi rappresenterebbero».

Tutto ciò, unito al deterioramento delle capacità attentive di un cervello ininterrottamente iperconnesso, ha condotto a quella che Bernard Stiegler ha chiamato miseria simbolica. «Eppure – prosegue Terranova – questo non è un libro triste».

E non lo è perché, da una prospettiva post-operaista che l’autrice fa propria, «il capitalismo delle piattaforme può essere visto come una reazione alla partecipazione di massa (su Internet), che in una prima fase trasformò l’entusiasmo imprenditoriale per l’economia digitale in preoccupazione per la possibilità di un socialismo digitale».

IN ALTRE PAROLE, Internet è stata «trasformata, avviluppata, incorporata e tuttavia non necessariamente sconfitta o dissolta», proprio perché sussunta «Internet non è tanto un morto, quanto un non-morto», lo spettro della coimplicazione delle differenti forme di vita e di sapere che si aggira per il Corporate Platform Complex, «un’intelligenza aliena fuggitiva» a cui tutti danno la caccia in quanto parte integrante delle «lotte di classe (al plurale) del tardo XX secolo e del XXI (declinate nelle storie, nelle pratiche e nelle prospettive femministe, antirazziste, queer, subalterne e indigene)».

Un’intelligenza che non ha mai smesso di ripetere: «Non potete separarvi», quindi «riavviate il vostro sistema operativo» per poter «riprendere il potere di autogovernarvi».