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Qualche parola in vista di Natale

In una parola

In una parola La rubrica settimanale su linguaggio e società. A cura di Alberto Leiss

Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 20 dicembre 2022

Molte bravissime persone, tra cui non poche amiche e amici, hanno scritto un appello per una tregua nella guerra in Ucraina almeno nelle prossime feste. Sottoscrivo anch’io. Temo però che chi sta combattendo, e soprattutto chi ha le più gravi responsabilità dalle parti di Putin, non ascolteranno.

Come saranno sordi alle proteste i tiranni «religiosi» in Iran, che impiccano, uccidono nelle strade e nelle prigioni, torturano donne e uomini che continuano a manifestare per la libertà. E così altri, singoli e governi, commercianti di armi, colpevoli di guerre e violenze in molte parti del mondo.

Il Papa, con il suo pianto, sembra averci detto che ogni speranza è persa. Ma anche, con il suo insistere ostinato, che non bisogna rassegnarsi alla «logica» della guerra.

Ho letto lo scritto, reso noto alla fine della seconda guerra mondiale, di un uomo che fece della guerra una vocazione personale, Ernst Jünger, dedicato alla speranza di una pace universale (riedito da Mimesis, La pace. Una parola ai giovani d’Europa e ai giovani del mondo, con una postfazione di Maurizio Guerri che ne attualizza il significato guardando a Kiev e Mosca).

È un testo anche tragicamente ambiguo. Dedicato al figlio Ernst, caduto a 18 anni in Italia, obbligato dai nazisti a partecipare al conflitto perché aveva manifestato opinioni critiche sul regime. Jünger disse che risaliva ai primi anni di guerra (era ufficiale nella Parigi occupata) e che erano parole condivise con i militari che tentarono di eliminare Hitler, i quali furono tutti uccisi. C’è stato chi ha sospettato che la datazione non fosse autentica: l’autore avrebbe tentato con quel testo di prevenire le accuse di collusione col nazismo. Resta che in quel saggio Jünger si mostrava fiducioso: proprio il sacrifico enorme patito in tutto il mondo durante la prima, e ancor più durante la seconda grande guerra, con gli orrori inauditi dello sterminio razzista e il massacro di civili e di intere città, unito a quella che ora definiremmo “globalizzazione” indotta dalla tecnica, avrebbe reso possibile una vera pace mondiale.

Gli insegnamenti di un così grande dolore originati da una «plumbea tirannide» che «alleata alla tecnica, festeggiava interminabili nozze di sangue», riflessi nelle immagini delle madri private di figli, mariti, fratelli, avrebbero prodotto la convinzione di vivere in pace, realizzando un sogno antico.

Ci sono intuizioni significative: un compito essenziale sarebbe toccato a una nuova Europa, unita e pacifica, essendo l’orrore della guerra globale nato per due volte da lì. Mentre la radice del «nichilismo» causa della violenza più terribile si era diffusa nella Germania e nella Russia. Essenziale, quindi, il loro nuovo ruolo.

Per Jünger, però, non basta la razionalità della politica e degli Stati, organizzati in nuove dimensioni imperiali e pacifiche, e uniti dalla figura reale e simbolica del “lavoratore”. Era necessaria una nuova dimensione spirituale, una «Nuova Teologia come scienza prima», il rinnovamento di ogni Chiesa, e soprattutto la piena responsabilità di ogni individuo di fronte al mondo.

La mia impressione è stata quella di un interessante, toccante lascito di un vecchio patriarca, forse in certa misura convertito.

Di una «nuova religione» avremmo bisogno. Ma immagino che possa essere anche un pensiero, un sentimento laico e persino scientifico. Ci dicono che due particelle infinitesimali possono comunicare a distanza di anni-luce. Capiremo finalmente che nasciamo in relazione e restiamo in relazione con altri, altre e con le cose, animate e no? Impareremo a con-viver-ci ?

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