Caso Talgo, il doppio binario su cui viaggiano i capitali
Caso Talgo La Spagna ha bloccato la vendita all'Ungheria della sua azienda di treni, per "motivi di sicurezza": Orbán potrebbe cedere alla Russia tecnologie da usare in Ucraina
Caso Talgo La Spagna ha bloccato la vendita all'Ungheria della sua azienda di treni, per "motivi di sicurezza": Orbán potrebbe cedere alla Russia tecnologie da usare in Ucraina
Chi ha paura della libera circolazione dei capitali? Un tempo erano i lavoratori, che però non osavano contrastarla. Oggi sono i capitalisti, che non ci pensano due volte a reprimerla se confligge con i loro vitali interessi. I trattati UE vietano le restrizioni ai movimenti di capitali, sia tra stati membri sia con paesi terzi. Blocchi alla circolazione dei capitali sono ammessi solo in casi particolari, tra cui comprovati “motivi di ordine o sicurezza pubblica”.
La possibilità di utilizzare questa deroga ha sempre suscitato imbarazzo tra le forze progressiste. Quando nel 2015 in Grecia vinse la coalizione di sinistra guidata da Alexis Tsipras, si pose la necessità di bloccare le fughe di capitali in atto. Sembrava l’unica mossa razionale per frenare la tremenda recessione che affliggeva la Grecia, eppure non mancarono i tentennamenti. Anche l’allora ministro delle finanze Yanis Varoufakis si concesse il lusso di titubare. A suo avviso, il blocco dei capitali in fuga andava evitato perché altrimenti i greci che possedevano ricchezze «sarebbero stati considerati come poveracci che avevano gli euro ma non erano liberi di usarli come volevano». I poveracci veri, che gli euro non ce li avevano, dovettero quindi sobbarcarsi il peso di una crisi alimentata dalle fuoriuscite di denaro. Alla fine il blocco venne introdotto ma solo quando le ricchezze erano ormai finite tutte all’estero.
Quando invece le deroghe agevolano gli interessi prevalenti, la libera circolazione dei capitali viene tolta di mezzo senza tanto indugio. Sta accadendo soprattutto in questi tempi guerreschi, con Stati Uniti e alleati che in modo sempre più spregiudicato alzano barriere finanziarie contro i flussi di capitali provenienti da paesi “non amici”.
Il protezionismo bellico è ormai talmente radicato da colpire anche i movimenti interni all’Unione europea. È accaduto in questi giorni, con il governo spagnolo che ha impedito l’acquisizione dell’azienda costruttrice di treni Talgo da parte del gruppo ungherese Ganz-MáVag. Gli ungheresi lamentano la violazione del principio di libera circolazione dei capitali in Europa. Ma gli spagnoli ribattono di aver bloccato l’acquisto per i consueti motivi di “sicurezza” ammessi dai Trattati.
La Spagna ha secretato i documenti che spiegano meglio la decisione. Ma un alto funzionario del governo spagnolo ha dichiarato che l’obiettivo del blocco è impedire che l’Ungheria trasferisca alla Russia alcune tecnologie di Talgo utili al controllo dei trasporti ucraini. Il gruppo Ganz-MáVag è infatti parzialmente controllato dallo stato. Sotto la pressione del governo Orbán, il gruppo potrebbe trasferire il sistema a scartamento variabile di Talgo per permettere ai treni russi di spostarsi senza problemi tra i binari ucraini e quelli più stretti dei paesi europei confinanti. Fantafinanza di guerra? Non è detto.
Del resto, non è solo questione di rotaie. Per il ministro degli esteri ungherese i legami commerciali e finanziari con la Russia sono vitali e «l’Ungheria non può permettersi di rinunciarvi». A pensarci bene, sembra la riedizione del tragico dilemma che un decennio fa vide l’Ucraina al bivio tra Ue e Russia, con le autorità europee che insistevano per accordi di cooperazione che di fatto tagliassero fuori le aziende russe. Se l’Ucraina oggi è martoriata da una feroce invasione e da una guerra, lo dobbiamo anche agli accordi commerciali privilegiati su cui noi europei abbiamo insistito all’epoca.
Il guaio è che quando si inaugura il gioco delle barriere non si sa mai come possa finire. Adesso la linea del protezionismo di guerra si è fatta più profonda e si è spostata: non più ai bordi dell’Ue ma addirittura al suo interno. Ci sarebbe da ripensare tutta la strategia europea, ma anche il Rapporto Draghi sembra indicare il contrario: c’è voglia di condurre il wargame fino in fondo.
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