Europa

Rutte, un leader europeo per la Nato. E l’Ue pensa sempre di più alla difesa

Mark Rutte foto Epa/J.J. GuillenMark Rutte

Ue e Nato Finisce domani il mandato di Stoltenberg, segretario generale dell’Alleanza atlantica dal 2014

Pubblicato 16 minuti faEdizione del 29 settembre 2024

Per la Nato si chiude l’era Stoltenberg, durata 10 anni, e si apre quella di Mark Rutte. Scade infatti domani il mandato del norvegese Jens Stoltenberg come segretario generale dell’Alleanza atlantica. A partire dal 1 ottobre, il timone del patto militare con sede a Bruxelles passerà a Rutte, ex premier olandese tra i più longevi della storia con 14 anni di governo alle spalle. Come leader Ue ha tessuto abilmente i rapporti con gli altri governi dell’Unione. Da ricordare, l’intesa con Giorgia Meloni, che ha accompagnato nel suo viaggio in Tunisia per cercare un accordo sui migranti insieme alla presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen nel luglio 2023.

L’avvicendamento era previsto da tempo, in quest’anno zeppo di rinnovi delle cariche di vertice per le istituzioni europee. Formalmente, alla Nato si passa da un norvegese laburista, Stoltenberg appunto, a un liberale comunque nordico e rappresentante di uno dei cosiddetti «frugali», così come liberale sarà l’Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue, la baltica Kaja Kallas.

Più concretamente, al di là del colore politico di appartenenza, Rutte ha ottenuto il prestigioso ruolo grazie alle innegabili qualità politiche di mediatore. Ha scalzato i contendenti, come il presidente romeno Klaus Iohannis (anche lui della famiglia liberale) e ha superato i dubbi degli scettici verso l’appoggio Nato a Kiev, come il premier ungherese Orban e lo slovacco Fico, con una promessa di continuità che rassicura in primo luogo l’azionista di maggioranza, ovvero gli Stati uniti. Non a caso, per la sua elezione ai vertici dell’Alleanza ha ottenuto il sostegno di 29 su 32 membri.

Sembra lontanissimo il 2019, quando il presidente francese Emmanuel Macron definì la Nato «in stato di morte cerebrale». Dall’invasione russa dell’Ucraina, l’Alleanza si è ingrandita accogliendo due nuovi membri: la Svezia e la Finlandia, precedentemente fuori dall’organizzazione internazionale per esigenze di bilanciamento politico. Proprio quelle che sono saltate con l’atteggiamento aggressivo di Putin, percepito dagli scandinavi come minaccia concreta anche sotto l’aspetto militare. Basterebbe ricordare che il confine tra Helsinki e Mosca corre in verticale da nord a sud per più di 1300 chilometri.

Ma oltre a ingrandirsi, si è soprattutto rafforzata. Merito – o colpa – del cambiamento delle politiche dell’Unione europea, sempre meno interessata al tema della transizione ecologica e sempre più concentrata invece al suo futuro di difesa comune. Lo sforzo bellico di Bruxelles (intesa come sede Ue) sembra intrecciarsi infatti a quello di Bruxelles (intesa come sede Nato). Non solo ricordando che tutti i paesi Ue sono anche membri della Nato, ad eccezione dell’Irlanda e dell’Austria, neutrali per tradizione e costituzione. Ma anche perché la presidente von der Leyen ha creato, come aveva promesso nella campagna elettorale prima delle elezioni europee, una nuova figura: quella del commissario alla Difesa.

Se confermato dall’esame che il Parlamento europeo farà nelle prossime settimane, la casella del ministro della Difesa verrà ricoperta da Andrius Kubilius. Un altro baltico, come la «ministra degli Esteri» Ue, la già citata Kallas, che ha l’anti-putinismo scritto nel suo cv. L’accoppiata con Kallas lancia un evidente messaggio: ribadire il sostegno a Kiev e sottolineare l’ostilità verso Mosca.

Proprio al nuovo commissario, esponente del Ppe e considerato vicino alle lobby dell’industria bellica, spetterà il compito di gestire i fondi per lo sviluppo militare dell’Ue. Al momento di parla di risorse non ingenti, tra il Programma europeo per l’industria della difesa (Edip) da 1,5 miliardi e quello di ricerca e sviluppo denominato Fondo europeo per la difesa (Edf) che ne vale 8. Tuttavia, tra le intenzioni della Commissione von der Leyen II c’è sicuramente quella di trovare nuove forme di finanziamento per «lo sviluppo dell’Unione europea della difesa e il rafforzamento dei nostri investimenti e della nostra capacità industriale», come ha chiarito la stessa von der Leyen. Un invito che arriva anche dal rapporto Draghi sulla competitività. E su cui a Bruxelles già si discute e ci si divide.

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