Non si può più guardare dall’altra parte. Perché il dolore dei morti batte di gran lunga il profumo dei soldi. Anzi, dei petroldollari che hanno portato i Mondiali 2022 in Qatar. La notizia è recente: più di 400 lavoratori migranti nepalesi sono morti nel Paese asiatico, ritenuto la Svizzera del Medio Oriente, tra hotel di lusso, bellezze al mare e tycoon dal conto in banca a svariati zeri. E la maggior parte nei cantieri degli stadi dove si giocherà la Coppa del Mondo.

La cifra – rilanciata dal periodico britannico Observer – è arrivata dal Pravasi Nepali Co-orditation Committee, organizzazione per il rispetto dei diritti umani che in questi giorni sta raccogliendo gli elenchi dei morti utilizzando fonti ufficiali a Doha. I nepalesi costituiscono il 20% della forza lavoro impiegata nella realizzazione delle infrastrutture quatariote per i Mondiali. Ma le pressioni sulle autorità arabe e sulla Fifa che ha assegnato l’evento al Qatar – tra le critiche di varie federazioni – aumentano con The Guardian che nelle ultime ore ha rilanciato la “questione indiana”. Oltre 500 indiani morti nel Paese arabo dal gennaio 2012. Ventiquattro solo nel 2014. Due anni di sangue mischiato alle polveri dei cantieri degli stadi e delle infrastrutture per i Mondiali. Cifre rilasciate dall’ambasciata indiana a Doha. E che si moltiplicano, sfiorando le mille unità, se la conta dei decessi sui cantieri si allunga al 2010, anno in cui la Fifa ha scelto il Qatar per ospitare la Coppa.

“La morte dei lavoratori indiani è la triste prova che non sono solo i nepalesi che stanno morendo in Qatar” ha detto un ricercatore del Golfo di Human Rights Watch, organizzazione non governativa che segnala da mesi lo scempio di vittime sul lavoro nel Paese arabo. Dunque, autorità del Qatar sotto accusa nonostante le dichiarazioni del ministro del lavoro e degli affari sociali del Qatar che promette l’apertura dell’ennesima inchiesta, sostenendo che in molti casi non si sia trattato d’incidenti sul lavoro ma di morti naturali. E la recente pubblicazione delle linee guida dettagliate sulle leggi da applicare ai lavoratori che vengono dall’estero.

Un vademecum da 50 pagine che interesserebbe appaltatori e sub-appaltatori, tenuti a osservare un pacchetto di norme, una specie di Statuto dei lavoratori. Ma che poco ha convinto l’International Trade Union Confederation (sindacato mondiale dei lavoratori): misure superficiali, considerando i bassi standard di sicurezza e di qualità del lavoro a cui sono ancora costretti i lavoratori in Qatar, rispetto agli standard internazionali riconosciuti. Infatti, nessuno stop alla strage di vittime sul lavoro. Nepalesi, indiani, manovalanza che arriva da altri Paesi del sud-est asiatico, al lavoro per dieci ore al giorno a 40 gradi, guadagnando meno di 200 dollari al mese. Con The Guardian che nel settembre 2013 scriveva anche di mancati pagamenti di stipendi e ritiro di passaporti sino al termine dei lavori. E con Amnesty International, organizzazione umanitaria che nello scorso novembre sottolineava in un rapporto che molti lavoratori si lamentavano degli scarsi standard di salute e sicurezza in Qatar. E che più di mille persone erano state ammesse nel principale ospedale di Doha nel 2012 perché cadute da altezze considerevoli mentre erano al lavoro. I ricercatori avevano anche tratteggiato la vita dei lavoratori migranti, assiepati in capannoni sovraffollati, senza aria condizionata e sistemi di depurazione. O addirittura acqua corrente.

Insomma, una schiavitù moderna in salsa araba. Con l’International Trade Union che ipotizza 4 mila immigrati a rischio decesso in Qatar entro il via ai Mondiali, se non dovessero migliorare le condizioni di vita e lavoro. Forse anche di più. Anche perché il numero uno della Fifa, Sepp Blatter ha detto chiaramente che il treno in corsa non si ferma. Il treno dei soldi.