Vladimir Putin ha dimostrato di non essere solo. Ma i partner coi quali intende «rimodellare l’ordine internazionale», auspicio espresso al summit Sco da Xi Jinping, hanno chiarito che oltre al sostegno politico-retorico e alla cooperazione commerciale non intende andare nessuno, nemmeno la Cina. Anzi, dopo aver riconosciuto le «preoccupazioni» di Xi sul conflitto, Putin ha dovuto ascoltare la reprimenda pubblica di Narendra Modi: «So che l’epoca di oggi non è un’epoca di guerra», ha detto il primo ministro indiano chiedendo un’immediata cessazione delle ostilità.

Putin si è detto consapevole delle «inquietudini» indiane: «Vogliamo che tutto questo finisca il prima possibile» ha replicato, accusando l’Ucraina di non voler negoziare. Anche se in conferenza stampa ha affermato che gli obiettivi dell’operazione speciale non cambiano: «Stiamo combattendo solo con una parte dell’esercito, non abbiamo fretta».
Putin ha poi invitato Modi in Russia. L’India, che ha nettamente aumentato l’acquisto di petrolio da Mosca, è membro Brics, Sco (ne ospiterà il vertice del 2023) e Quad: da una parte prova a smussare la retorica anti occidentale, dall’altra quella anti cinese. Nel comunicato finale del summit si sottolinea che la Sco «non è diretta contro altri stati» e non si citano Ucraina e Taiwan. Come nel caso dei Brics, ci si oppone a «sanzioni unilaterali».

Modi e Xi si sono mossi in maniera speculare, ottenendo i rispettivi obiettivi senza mai (almeno ufficialmente) parlarsi da soli. Sono uno al fianco dell’altro nella foto di gruppo, ma non si sono stretti la mano. Ed erano gli unici assenti alla cena di giovedì. L’opinione pubblica indiana chiedeva a Modi di presentare le sue rimostranze contro la guerra e di non tenere bilaterali con Xi fino alla completa de-escalation sul confine conteso. Le forze di Pechino e Delhi hanno avviato il ritiro proprio la scorsa settimana. Ma l’intesa ancora non c’è e l’India è stata l’unico membro Sco a criticare le esercitazioni intorno a Taiwan.

Xi ha fatto capire che è la Russia ad aver bisogno della Cina e non viceversa. Ed è sempre Xi ora a guidare le gerarchie in Asia centrale, con Pechino che come ha scritto Simone Pieranni si pone come la Cina imperiale, «saggia, paternalista e sinocentrica». Una Cina che non vuole «rivoluzioni colorate», come chiarito da Xi che sul «supporto incondizionato all’integrità territoriale» kazaka sembra anche aver lanciato un messaggio di tutela da possibili azioni russe.

I media cinesi si sono focalizzati soprattutto sulla dimensione regionale del primo viaggio all’estero di Xi dall’inizio della pandemia: il Quotidiano del Popolo ieri dava più evidenza all’incontro col padrone di casa uzkebo Shavkat Mirziyoyev che a quello con Putin. Xi ha promesso 214 milioni di dollari di grano e altri aiuti, rilanciando la Belt and Road e la neonata Global Security Initiative. Ha inoltre dichiarato che la Cina formerà duemila membri delle forze dell’ordine dei paesi membri e creerà una base di formazione sull’antiterrorismo, con un occhio a Xinjiang e uiguri.

Dagli Usa, il segretario di Stato Antony Blinken si è detto convinto che le riserve di Cina e India aumentino «la pressione sulla Russia». Ma Putin ha comunque incassato il supporto (seppur non senza limiti) ribadito da Pechino e ha raggiunto un accordo con Erdogan per il pagamento in rubli del 25% del gas importato da Ankara.
Tra i membri Sco restano però altri fronti aperti. Il cessate il fuoco tra Armenia e Azerbaigian dopo gli scontri dei giorni scorsi sembra per ora tenere.
Non quello tra Kirghizistan e Tagikistan. Ieri i leader Sadyr Japarov ed Emomali Rahmon si sono parlati a Samarcanda ordinando il ritiro delle truppe. Ma nelle ore seguenti i due paesi si sono accusati reciprocamente di aver violato lo stop ai combattimenti.