Nuovo giro di vite sulla protezione speciale, divieto di convertire alcuni permessi di soggiorno in permessi di lavoro, raddoppio dei tempi di detenzione per i migranti rinchiusi nei Centri per il rimpatri.

Annunciato più volte, l’assalto della Lega al decreto migranti varato dal consiglio dei ministri dopo la strage di Cutro è cominciato sotto forma di 21 emendamenti che puntano a resuscitare i decreti sicurezza varati da Matteo Salvini ma soprattutto a dettare al governo la linea della Lega sull’immigrazione. Un proposito che il Carroccio non ha mai nascosto ma che ora rischia di aprire una breccia nella stessa maggioranza dopo i rilievi avanzati dal Colle proprio sulle restrizioni alla protezione speciale e in parte accolti nella prima stesura del decreto dalla premier Giorgia Meloni, decisa finora a evitare un possibile incidente con il Quirinale. Tutto questo mentre il previsto successo del click day, con più del triplo delle domande presentate rispetto agli 82.705 ingressi previsti dal decreto flussi per i lavoratori stranieri, sta portando il governo a non escludere un ritocco verso l’alto delle quote di ingresso: «Se ci fosse la necessità e l’opportunità di ampliare i numeri in relazione alle possibilità del mercato del lavoro, non ci sono pregiudizi», ha assicurato ieri il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi.

Sono in tutto 126 gli emendamenti al decreto depositati in Commissione Affari costituzionali del Senato, dove il testo è in discussione. Otre ai 21 della Lega, 5 sono di Forza Italia, 4 di FdI, 39 del Pd, 25 di Avs, 23 del M5S e 5 del terzo Polo.
Delle proposte di modifica presentate dalla Lega 15 riguardano il contrasto all’immigrazione irregolare e sei l’integrazione dei cittadini stranieri in Italia. Nella prima versione del testo viene cancellata la possibilità per un richiedente asilo di non essere espulso considerando il grado di integrazione raggiunto nel nostro Paese, restringendo il riconoscimento dello status di rifugiato solo a chi scappa da guerre e persecuzioni, al quale viene rilasciato un permesso di soggiorno della durata di due anni.

La Lega chiede di intervenire anche su questo punto dimezzando a un anno la durata del permesso di soggiorno e cancellando la sua convertibilità in permesso di lavoro come avviene oggi. Stop alla convertibilità in permessi di lavoro anche per altre categorie, come ad esempio quanti hanno ottenuto un permesso di soggiorno per calamità naturali, cure mediche, assistenza ai minori o perché apolide.

Altri emendamenti prevedono la sospensione dell’accoglienza per un periodo variabile tra i 30 giorni e i sei mesi per quanti si rendono responsabili di danneggiamenti all’interno delle strutture di accoglienza, e il prolungamento dei tempi di detenzione all’interno dei Centri per il rimpatrio (Cpr): dagli attuali 90 giorni prorogabile per altri 30, a 180 giorni prorogabili sempre di 30.

Oggi la commissione si esprimerà sulle eventuali inammissibilità di parte dei 126 emendamenti proposti, che però non dovrebbero essere numerose. «La maggioranza in generale si schiererà compatta come è avvenuto negli altri provvedimenti», ha dichiarato il capogruppo di FdI in 1a Marco Lisei, a proposito delle diverse proposte depositate dai partiti di centrodestra. Possibili pareri del governo sugli emendamenti non dovrebbero invece arrivare prima della fine della settimana. Tra il 18 e il 20 aprile è invece atteso l’arrivo del decreto nell’aula di Palazzo Madama.

Intanto ieri è cominciato al ministero del Lavoro il tavolo tecnico che dovrebbe portare alla definizione delle quote massime di ingressi di lavoratori stranieri in Italia per il triennio 2023-2025. Al governo le parti sociali hanno sottolineato la necessità di un nuovo decreto flussi che possa assorbire l’eccedenza di domande già presentate. «A fronte di tali dati il rischio di rimanere senza la necessaria manodopera nei campi è alto, soprattutto in vista delle prossime settimane, nelle quali si concentreranno gran parte delle operazioni di raccolta – ha spiegato il presidente di Copagri Tommaso Battista -; tutto ciò potrà avere sensibili ricadute sull’intera filiera, partendo dai produttori agricoli, che dovranno fare i conti con perdite non indifferenti, e passando per i cittadini, che rischiano di pagare lo scotto di una minore disponibilità di produzione, con possibili ricadute sui prezzi al consumo».