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Protezione dei dati, il governo britannico sfida il regolamento europeo

Protezione dei dati, il governo britannico sfida il regolamento europeoUn'app di incontri – Ap

Gdpr Oliver Dowden, segretario alla Cultura annunciando la novità al Telegraph, ha insistito parecchio sull’argomento. Convinto che sia popolare: “Ma possiamo continuare a perdere tempo per fare la spunta su ogni pagina Web che apriamo?"

Pubblicato circa 3 anni faEdizione del 8 settembre 2021

Trent’anni dopo la fine “ufficiale” del thatcherismo, siamo sempre lì: ai “lacci e lacciuoli”. Da eliminare, senza alternative. Gli ultimi orpelli da cancellare – in ordine di tempo – sono però piccoli strumenti digitali. I popup e i banner. Certo, non quelli pubblicitari, quelle piccole finestre che appaiono all’improvviso nelle pagine Web e ti chiedono di cliccare per arrivare al negozio dei tuoi desideri.

No, si parla invece di quelle piccole finestrelle che si vedono all’inizio della navigazione su un sito e che chiedono agli utenti se accettano o meno la condivisione dei dati raccolti. Quanti e per quali usi, se si da l’ok ai cookie e via dicendo. Esattamente come prevedono le norme del Gdpr, l’avanzatissimo regolamento europeo per la difesa della privacy e dei dati personali.

Ma appunto per l’Inghilterra di Boris Johnson sono diventate un fardello, lacciuoli. “Fastidiosi”. Da eliminare. Ovviamente, insieme a tutto il sistema europeo di protezione dei dati. Che conta molto più di un popup. Lo faranno, anche se ancora non hanno varato il testo di legge, che è annunciato per metà di questo mese. Ma l’hanno già presentato, nel dettaglio, hanno già fatto le prime, rilevanti mosse in quella direzione.

Hanno già trovato le persone per gestire la spinosa vicenda. E hanno subíto le prime, dure critiche che hanno però lasciato indifferente il governo ultra conservatore. Così, per presentare l’ultimo figlio della Brexit, hanno proprio utilizzato la questione dei banner.

Oliver Dowden, segretario – il nostro ministro – alla Cultura annunciando la novità al Telegraph, ha insistito parecchio sull’argomento. Convinto che sia popolare: “Ma possiamo continuare a perdere tempo per fare la spunta su ogni pagina Web che apriamo? Possiamo continuare ad infastidirci con queste stupidaggini mentre le nostre aziende sono bloccate nel mercato internazionale, da norme ormai superate?”.

Da lì, il ministro è partito per andare al cuore del problema: i dati – ha detto – sono il vero “petrolio” dell’inizio del terzo millennio e secondo lui l’Inghilterra sta perdendo troppo tempo e quei 149 miliardi di crescita all’anno delle imprese digitali d’oltre Manica sono ancora una cifra troppo bassa.

Quindi? Esattamente come la Lady di ferro, il governo inizierà a colpire gli “eccessi burocratici”. Troppe norme, troppi vincoli alla privacy. Per fare un esempio ma soprattutto per farla breve: oggi, sempre in base al Gdpr, si deve dire si o no ad ogni singola parte del “patto” che il sito propone al visitatore.

Puoi utilizzare i miei dati per questo ma non per quest’altro, ti impedisco di trasferirli ad altri, non puoi utilizzarli per niente, eccetera, eccetera. Non solo ma se cambiano le policy me lo devi far sapere. E devi chiedermi di nuovo il consenso.

Tutto questo per Oliver Dowden è “soffocante, inutile”. Lui ed il suo governo pensano allora ad un “rispetto della privacy più leggero”. Più rapido, dicono, ma soprattutto più remunerativo per le imprese. Ancora: col nuovo regolamento inglese sui dati, Londra pensa di poter imporre anche una riforma del Gdpr.

“Diventeremo noi lo standard internazionale. Il regolamento europeo è vecchio, ha fatto il suo tempo, va cambiato”. Gdpr che indubbiamente – tanto più sugli strumenti per imporre il rispetto delle norme – ha bisogno di una registrata ma la “riforma” in questa traduzione inglese significa ben altro.

Significa quel che l’Inghilterra di Boris Johnson sta già facendo: prima ancora del varo delle nuove normative, ha già stabilito e firmato accordi con diversi paesi, Singapore, Colombia, Australia, Corea e Stati Uniti. E contatti in corso si sono con Brasile, Kenya, Indonesia.

Le aziende inglesi potranno, dunque, lavorare con i dati dei cittadini di quei paesi e – tutto fa capire – potranno trasferire lì dati di cittadini inglesi. Con un problema, però. Apparentemente un enorme problema. Proprio in dirittura d’arrivo delle trattative per la Brexit, l’accordo con l’Europa prevedeva il rispetto del Gdpr. Era la condizione per la quale le imprese inglesi avrebbero potuto continuare ad operare nel mercato del vecchio continente.

Qualcosa comunque già allora i firmatari europei dovevano aver subodorato perché – caso unico – l’intesa è a tempo: scade ogni quattro anni. E può essere annullata – in ogni momento – se l’Europa accerta che in Inghilterra le norme del Gdpr non sono più vincolanti. E vale la pena allora ricordare che la Corte di Bruxelles per ben due volte ha annullato accordi commerciali con l’America perché non ha reputato “sufficienti” le leggi statunitensi a difesa della privacy.

Hanno un problema, dunque. Che furbamente il governo Johnson ha pensato di aggirare. Come? A parte le frasi di rito del tipo: “Vedrete, troveremo un accordo”? Nominando una nuova figura: il commissario per le informazioni. E la scelta è caduta su John Edwards. Che non è un cittadino inglese ma neozelandese e che fino al mese scorso era alle dipendenze del governo di Wellington.

Dove, appunto, si occupava di difesa della privacy. Una figura apparentemente inattaccabile, anche se – dicono alcune voci – il trasferimento a Londra pare sia stato anche dettato da contrasti col governo laburista neozelandese. In ogni caso, è stata una mossa furba: perché la Nuova Zelanda fa parte di quei paesi considerati dalla Ue “adeguati” agli standard europei.

E il governo inglese deve aver pensato che la sua provenienza ed il suo curriculum possano essere una sorta di lasciapassare. In ogni caso, Edwards, fin dalle prime battute ufficiali nella sua nuova veste, s’è subito adeguato. E se n’è uscito con lo stesso aggettivo dell’attuale datore di lavoro: “Dobbiamo rendere facile il rispetto della privacy”.

Difficile dire come si muoverà ora Bruxelles. Vera Jourova, vice presidente della Ue – che avrebbe per incarico la difesa della trasparenza – ha usato toni duri. “Qui si parla di un diritto fondamentale dei cittadini europei che abbiamo il dovere di proteggere. In concreto, però, ancora non è accaduto nulla.

I più pessimisti – le associazioni per i diritti digitali – temono che comincerà un lungo contenzioso, un’estenuante trattativa, che si concluderà non si sa quando. Forse mai. E nel frattempo i dati che transitano per l’Inghilterra potranno prendere qualsiasi direzione.

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