Protesta in 160 città polacche contro la riforma della giustizia
Il processo di «orbanizzazione» Migliaia di manifestanti in strada contro la nuova legge che mina l’indipendenza della magistratura e vieta ai giudici di applicare il diritto dell’Unione europea
Il processo di «orbanizzazione» Migliaia di manifestanti in strada contro la nuova legge che mina l’indipendenza della magistratura e vieta ai giudici di applicare il diritto dell’Unione europea
I cittadini polacchi tornano in piazza per esprimere il proprio niet all’ultimo progetto di riforma della giustizia voluto dalla maggioranza della destra populista di Diritto e giustizia (Pis). Le proteste che si sono svolte ieri pomeriggio in almeno 160 centri del paese finendo per coinvolgere decine di migliaia di persone. «I giudici oggi. Domani toccherà te» è questo lo slogan scelto dagli organizzatori che hanno coordinato le manifestazioni di fronte ai tribunali ma anche nelle piazze principali di molte cittadine che non ospitano palazzi di giustizia. «Il fatto che le nostre sentenze non siano sempre applaudite è una cosa ovvia che fa parte di questa professione. Un tribunale non è un pasticciere che sforna dolci buoni o un sarto che confeziona dei bei vestiti», ha scritto in una lettera rivolta alla massime istituzioni polacche Małgorzata Czerwinska, magistrata a Stettino.
Apparso nella notte di giovedì scorso sulla pagina ufficiale del Sejm, la camera bassa del parlamento polacco, il nuovo disegno di legge, preparato dal club parlamentare Destra Unita del «superministro alla giustizia» e procuratore generale Zbigniew Ziobro, mira a punire i magistrati che non si sottomettono al potere politico, che si rifiuteranno di applicare le leggi almeno che la loro incostituzionalità o incompatibilità con i trattati internazionali non sia stata confermata dal Tribunale costituzionale polacco.
Il partito di Jarosław Kaczynski punta a mettere in fuorigioco la Corte suprema a Varsavia che negli ultimi mesi ha criticato il pensionamento anticipato dei membri della corte e la legittimità della camera disciplinare creata dal PiS: questioni spinose portate davanti alla Corte europea di giustizia Ue e costate al governo un ricorso da parte della Commissione. Il governo punta così a stravolgere in modo strumentale la gerarchia degli organi giurisdizionali sancendo la supremazia del Tribunale costituzionale – finito sotto il giogo del PiS già durante il governo precedente – rispetto alla Corte suprema, considerata attualmente il massimo organico giuridico in Polonia. Il nuovo provvedimento era apparso all’alba del 13 dicembre nel giorno del 38° anniversario dell’introduzione della legge marziale in Polonia da parte del generale Wojciech Jaruzelski. In occasione di questa ricorrenza il premier polacco Mateusz Morawiecki ha lanciato un affondo sulle «ingerenze» da parte di Bruxelles su stato di diritto e giustizia: «Dovrebbero chiedersi se un consiglio di stato sotto un regime totalitario e comunista sia un organo più indicato a scegliere i giudici rispetto ad un Consiglio nazionale della magistratura (Krs) con un mandato forte e democratico». Ma a Varsavia dopo l’ennesima riforma delle toghe voluta dal Pis il Krs viene ormai eletto dai rappresentanti del potere politico.
La nuova normativa, che dovrebbe passare al vaglio delle camere nel 2020, prevede invece anche sanzioni pecuniarie e la possibilità di sospendere i giudici che vogliano appellarsi in aula o nei corridoi dei tribunali alla superiorità del diritto europeo. Nel frattempo la camera disciplinare si è già messa all’opera nelle ultime settimane. Il primo a farne le spese è stato Paweł Juszczyszyn sospeso a novembre per aver chiesto alla Cancelleria del Sejm di pubblicare in nome della trasparenza le lettere di sostegno da parte dei parlamentari ai nuovi giudici scelti nel Krs. Per molti cittadini il nuovo provvedimento rappresenterebbe proprio un ritorno a quel sistema giudiziario politicizzato e punitivo della giunta Jaruzelski. Ad esserne convinta anche l’attuale presidente della Corte suprema Małgorzata Gersdorf che continua a resistere al suo posto: «Le bugie anche quando sono ripetute non diventato verità. Non viviamo e non vogliamo vivere in un paese autoritario. Ci rifiutavamo di farlo nel 1981 e non siamo disposti ad accettarlo nel 2019». Intanto il PiS spera di chiudere il processo di «orbanizzazione» della giustizia prima delle elezioni presidenziali in agenda l’anno prossimo.
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