Mercoledì 15 maggio la Commissione europea ha divulgato le sue “previsioni di primavera” sull’economia Ue per gli anni 2023 (che iniziano ad essere abbastanza definitive), 2024 e il 2025. Il tono è moderatamente ottimistico: suvvia non siamo messi poi così male. Infatti, si ammette che la crescita del pil l’anno scorso è stata scarsina: solo +0,4%.

Ma va tutto bene: quest’anno si prevede un folgorante +1% e per il 2025 addirittura +1,6%! (Un po’ peggio va l’euro zona, si ammette con un certo rammarico).

E sebbene il primo trimestre del 2024 sia ancora sotto le sue potenzialità (un calcolo abbastanza aleatorio) colla sua brava stima di +0,3% sarebbe “superiore alle aspettative”. Certo se ci si aspettava un collasso questo non c’è. Magra consolazione. Ulteriore affermazione, che suona quasi comica per chi ha presente il dibattito dello scorso decennio è che dato che i paesi del sud Europa vanno meglio di quelli del nord si ha un progresso verso la convergenza. Gli ultimi venti anni sono descrivibili come una catastrofica divergenza fra centro e periferie Ue; adesso che la Germania e i suoi satelliti stanno declinando, allora è arrivata la convergenza!

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Inutile sviscerare le varie contraddizioni e incongruenze, allegramente inconsce del contesto: nel 2023 gli Usa sono cresciuti del 2,5%, la Cina del 5,2%, l’India del 7,8% e la Russia del 3,5% (stime Fmi). Gli europei al confronto sono ingessati.

Le previsioni per il 2024 sono molto incerte (da qui a dicembre potrebbe accadere qualsiasi cosa: intensificazione del conflitto a Gaza con l’Iran che blocca completamente i traffici per esempio) e per l’anno seguente sono un tiro ai dadi. Ma qualcosa oramai è definito: il ritorno del Patto di Stabilità. Sia pur con tempistiche più dilatate, tornano i temuti paramenti limitativi di spesa pubblica e debito pubblico. Quest’ultimo è cresciuto a ritmo considerevole dal COVID. E chi lo ha sostenuto?

Non è un mistero: le banche centrali dei paesi più ricchi hanno stampato valuta comprando i titoli ingigantendo i loro bilanci in maniera incredibile: negli Stati Uniti, il bilancio della Federal Reserve (rispetto al PIL) è aumentato dal 6,4% al 34,8% tra il primo trimestre del 2007 e il primo trimestre del 2021, e nello stesso tempo quelli della Banca d’Inghilterra e della Banca centrale europea sono aumentati da 5,3 % al 44,3% e dal 12,6% al 60,3%, mentre la Banca del Giappone balza dal 22,2% al 136,7% all’inizio del 2021! L’importanza delle banche centrali è diventata veramente enorme, sia per il sostegno all’indebitamento dello Stato sia come regolatori, attraverso il tasso di interesse, delle insolvenze delle imprese.

Adesso con la motivazione del contenimento dell’inflazione le banche centrali stanno rallentando gli acquisti. Cosa succederà quando la Commissione pretenderà una discesa dei debiti senza che la BCE abbassi i tassi?

L’altra parte della storia che si omette pudicamente è il contesto geopolitico. A fine 2023 la Germania è stata bollata dall’Economist il malato d’Europa. L’anno scorso è andata in recessione e le previsioni sono fosche. Il rapporto congiunto dei maggiori istituti di ricerca tedeschi in materia (RWI di Essen, Ifo di Monaco di Baviera, IfW a Kiel e IWH a Halle) di aprile scorso vede nero: il miglioramento previsto ad autunno non si è verificato, l’export è diminuito, la competitività viene danneggiata dai prezzi dell’energia.

Già, l’energia. Non stupisce che la medesima Commissione che si è sdraiata pancia a terra agli Usa secondandone la linea bellicista preferisca glissare sul fatto che tale monumentale incapacità abbia annichilito la maggiore economia dell’UE: la Germania. In cui peraltro la destra radicale sta arrivando a livelli di consenso inusitati (sondaggi danno AFD SUL 15-17%, in alcuni stati sul 30%).

L’aumento dei costi dell’energia penalizza molto l’export. E va notato che la Ue fra i grandi poli economici è il più globalizzato in senso assoluto (valore dell’export in termini assoluti) e spesso anche relativo (come % del PIL). Questa economia costruita così fortemente sull’esplorazione è molto vulnerabile agli shock che impattano sul commercio. Insomma la “ripresina” per quanto modesta è anche abbastanza incerta.