A ridosso del global strike per il clima del 6 ottobre è stato pubblicato L’Era della Giustizia Climatica di Emanuele Leonardi e Paola Imperatore, un libro adatto sia per chi intende approcciarsi per la prima volta al dibattito sui concetti di transizione ecologica e giustizia climatica, sia per gli attivisti che da tempo partecipano ai movimenti ecologisti.

NELLA PRIMA PARTE del testo viene tracciato il fallimento dell’ipotesi di transizione ecologica dall’alto incarnata dalla Green Economy, ossia quell’insieme di teorie che dal Summit della Terra di Rio del 1992, fino ai giorni nostri, ha ispirato la governance politica internazionale in materia di clima delle varie Conferenze sul Clima dell’Onu (Cop). L’idea che soggiace a queste teorie è che se da una parte è vero che il sistema produttivo capitalista ha creato un grande scompenso negli equilibri ecologici della biosfera provocando l’attuale crisi, dall’altra è solo attraverso le stesse logiche e strumenti di mercato che si può trovare una soluzione al problema, insomma una sorta di realismo capitalista applicato alla scienza politica del clima.

DATI ALLA MANO, NEL LIBRO si dimostra come a distanza di un quarto di secolo, non solo non si è prodotto alcun tipo di miglioramento ma i tassi di emissione sono aumentati vertiginosamente e le misure prese dai governi a livello transnazionale sono risultate inefficaci. La Green Economy ha fallito e nel vuoto narrativo che ha lasciato si è innestato perfettamente il discorso di Greta Thunberg che dal 2018 ha dato vita al più grande movimento globale per il clima, portando al centro del dibattito politico la questione climatica, questa volta con un punto di vista inedito: quello dei movimenti.

QUESTO VIENE SOTTOLINEATO bene nel libro: «Le parole di Greta Thunberg sono significative soprattutto perché costituiscono una rottura: mettono fine, infatti, al Sistema delle Cop in quanto forza centripeta dell’immaginario climatico, in quanto principale attrattore degli sforzi politici legati al riscaldamento globale (e, per estensione, all’ecologia)».

NEL TESTO VIENE ESAMINATA con attenzione l’evoluzione dei movimenti per la giustizia climatica, facendo un continuo confronto tra quelli nati negli anni ’90 e quelli post-2019. Attraverso un’analisi del Climate Book di Greta, si evince come anche il punto di vista riguardante le ingiustizie ambientali e il peso delle emissioni carboniche sia cambiato notevolmente. Se negli anni ’90 a prevalere era l’analisi geopolitica e quindi il confronto tra Stati-Nazione, oggi si guarda sempre più alla dimensione di classe, non è più quindi un confronto esclusivo tra Nord-Sud globale e tra quanto emette l’Italia o la Francia, rispetto all’Uganda o alla Nigeria, ma è sempre più un’analisi tra quanto emette l’1% della popolazione più ricca rispetto a tutti gli altri, andando a intrecciare questione climatica e questione sociale.

IL DATO CHE EMERGE direttamente dalle piazze che hanno animato i movimenti climatici negli ultimi anni è strettamente politico, dove alla questione delle emissioni di CO2 si affianca quella della perdita della biodiversità, della siccità e di tutte le altre conseguenze nefaste causate dall’attuale modello socio-economico. I due autori spiegano bene questa differenza tra il vecchio e i nuovi movimenti per la giustizia climatica: «Le piazze climatiche del 2019 sono legate al ciclo di lotte anti-austerità (attivo dal 2011), il che significa che nascono in un momento di crisi della globalizzazione neoliberale. Tale contingenza le distingue nettamente dalla giustizia climatica delle origini e contribuisce a spiegare l’originalità di alcuni dei loro tratti chiave. In primo luogo, queste piazze hanno cambiato completamente la percezione collettiva del riscaldamento globale: da scenario apocalittico, forierodi sventura, a tema propulsore della mobilitazione giovanile, a livello mondiale».

DA QUESTO PASSAGGIO che spiega chiaramente il portato politico inedito dei movimenti climatici contemporanei, la riflessione prosegue con un’analisi delle varie esperienze che hanno caratterizzato e contribuito alla congiuntura tra questione climatica e sociale nei movimenti. Su questo l’esempio dei Gillet Gialli è il più calzante perché ci fa comprendere il fallimento del tentativo di scaricare i costi ecologici verso il basso e che «chiunque avesse provato a far pagare la transizione ecologica ai ceti medi già impoveriti, avrebbe trovato solo resistenza». Nell’ultima parte del testo si fa un focus sull’Italia e in particolare sul caso più emblematico della Gkn, che rappresenta la sublimazione di quella convergenza che si è costruita fino ad oggi tra movimenti climatici e lotte operaie. Gli autori spiegano bene come questo sia stato il risultato di un processo politico non scontato, dove hanno partecipato collettivamente la nuova composizione climatica giovanile rappresentata da Fridays For Future, le lotte ambientali storiche come il movimento No Tav e il Network di Ecologia Politica – che ha dato un contribuito fondamentale nell’elaborazione teorico-politica e ha permesso di fare da collante tra movimenti e organizzazioni di varia natura e orientamento politico sui vari territori.