Progetto Woosic, alchimia e integrazione acustica
Se nella Silicon Valley le grandi idee si dice che nascano sempre nei garage, in Italia può capitare che un progetto come Woosic nasca in una cameretta di studenti pugliesi fuori sede a Roma. Quando hai migliaia di beat che ti passano per la testa, dal reggae, alla afrobeat, dalla mediorientale alla soca passando per la dub non puoi far altro che scaricarli in un impianto acustico che dia sfogo a quel milione di suoni che rimbombano nel cervello. Così la passione si è tramutata in materia e in cinque anni Fabrizio Lattanzio di Bari e Antonio Capodieci di Trepuzzi dentro quella cameretta sono riusciti a costruire un sound system artigianale. «Siamo andati in falegnameria e ci siamo fatti tagliare il legno secondo le specifiche di cui avevamo bisogno, poi il montaggio è andato avanti negli anni, il sound è costituito da tutti pezzi analogici, di digitale c’è solo la musica che abbiamo continuamente in testa», afferma Fabrizio Lattanzio. La serata inaugurale dei due studenti all’Acrobaz di Roma ha riempito la serata oltre le aspettative, molti amici erano partiti da Bari per assistere all’inaugurazione. «Non era prevista tutta quella folla, in quegli anni (2000) abbiamo fatto parte della scena underground romana a Forte Prenestino, all’Acrobaz e all’Ex Snia», ricorda Lattanzio.
Ma perché volersi intestardire nella costruzione di un impianto acustico? «Questi generi musicali hanno una potenza dal punto di vista del basso, emettono frequenze basse ma molto potenti e ascoltare questo tipo di musica diventa un’esperienza corporale, totalizzante», puntualizza Lattanzio.
Dopo gli studi in antropologia culturale e l’esperienza romana nel 2011, Lattanzio torna a Bari dove non smette di pensare a cosa fare con tutti i beat mentre nel frattempo fonda la start-up Memory Team per la gestione a casa di pazienti con l’Alzheimer. Solo nel 2018 grazie ai bandi del PIN Puglia (Pugliesi Innovativi) nasce l’idea di Woosic, unione delle due parole wood e music, dove convogliare tutti i milioni di suoni. Un’associazione socio-culturale che prevede un lato manuale, la falegnameria per la costruzione materiale delle casse, e uno culturale proprio per l’uso delle casse acustiche.
Il progetto Woosic si basa su tre punti programmatici: un corso di teoria e pratica in carpenteria per cinque migranti che fornisca le conoscenze appropriate per realizzare, collegare e settare un sound system; riuscire a costruire il primo impianto acustico e poterlo vendere attraverso l’organizzazione di un sito web per l’e-commerce (https://www.ilruggitodellagru.it). «Proprio perché legato al management abbiamo lanciato il festival Bari Carnival sulla stessa linea d’onda del famoso festival caraibico di Notting Hill a Londra. Il Bari Carnival è l’evento annuale dell’associazione dove si riuniscono tre o quattro sound system baresi tra cui Woosic che suonano contemporaneamente quasi ininterrottamente per due giorni», afferma Lattanzio.
Un assunto fondamentale sul quale si basa il progetto è rompere lo stereotipo migrante=bracciante. Woosic si propone di instaurare un modello permanente che possa radicarsi e fare rete in modo da contrastare nel lungo periodo le organizzazioni criminali, il lavoro illegale e lo sfruttamento. «I ragazzi a loro volta devono diventare dei formatori di altre classi replicando quello che hanno imparato. Riportare la propria esperienza in modo da creare un circolo virtuoso coinvolgendo anche un altro tipo di utenza che non sia solo di migranti, ma persone fragili e bisognose: carcerati, giovani a rischio devianza, ragazzi invischiati in microcriminalità. A tale scopo partecipammo al bando del comune di Bari per immobili sequestrati alla mafia per l’assegnazione di un piccolo locale a Bari Vecchia, in piazza San Pietro, con l’obiettivo di coinvolgere i ragazzi del posto, creare un mix con i nostri e cercare di realizzare un’integrazione vera, reale, ma purtroppo arrivammo secondi», precisa Lattanzio.
«Non è stato solo la parte pratica, ma quella umana che mi è piaciuta di più, era come stare in famiglia: dividevamo un pezzo di focaccia, i panzerotti, la birra, il caffè … era un modo per entrare in una relazione di amicizia molto profonda. Infatti anche adesso siamo rimasti tutti in contatto e a disposizione l’un dell’altro», afferma Omar Dabre, del Burkina Faso, uno dei cinque ragazzi immigranti del progetto Woosic insieme a Abdoul Salam Diallo, Bah Mamadou Bailo, Lassana Diarra e Saber Ammari. Deve essere stata una sensazione unica essere trattato da persona e da pari a pari dopo aver lavorato per anni sotto lo sfruttamento del caporalato nei campi pugliesi. «Questo tipo di amicizia continua anche con il gruppo di italiani che ci coadiuvava, anche quando il covid ci ha fermati (marzo 2020), abbiamo ripreso a maggio e a luglio abbiamo terminato la costruzione delle casse, per fortuna avevamo già dei clienti che ci hanno commissionato dei lavori», commenta Omar. Il presidente di Woosic, Lattanzio, precisa: «Durante il corso inviammo proposte di vendita ad aziende, alcune ci risposero interessate all’acquisto. Anche perché siamo tra i pochi che riescono a seguirti dall’inizio alla fine attraverso la progettazione indirizzata al tipo di musica che si vuole proporre, dividiamo in frequenze e le selezioniamo e quindi passiamo alla tipologia delle casse e al loro assemblaggio. Quando sono arrivare le prime richieste avevamo esigenza di spazi più ampi e così da Bari ci siamo spostati ad Altamura».
Omar è andato via dal Burkina Faso quando aveva appena 12 anni, è stato un paio di mesi in Togo per poi virare sul Niger «… dove trovai molte difficoltà per la sopravvivenza e fui costretto a cambiare di nuovo. Ero in strada a cercare una vita migliore, una situazione più giusta senza essere minacciato, senza massacri, così conobbi delle nuove persone che mi fecero unire ad un paio di gruppi che stavano prendendo la strada per il Sahara. In quel momento ero proprio a terra, sia a livello economico che di conoscenza, inoltre devo ammettere che non avevo il coraggio di attraversare il deserto, arrivavano notizie fresche che avevano perso un gruppo di persone e solo una era riuscita a sopravvivere», Omar osserva il mare mentre parla, alle sue spalle c’è il Petruzzelli, il teatro dell’opera di Bari da poco finito di restaurare, ma la sua mente riporta in vita ricordi di cui ancora soffre e che si sovrappongono al mondo che ora lo circonda.
Nel progetto Woosic oltre al coordinatore, al carpentiere infatti c’è uno psicologo perché il percorso non è solo manuale o di conoscenza, ma è emotivo. Omar prende una pausa, gioca con una sigaretta tra le dita, la mette sulle labbra ma poi continua a parlare e si dimentica di accenderla. Riprende il filo del discorso. «Ascoltando quei fatti non avevo coraggio, come non avevo coraggio di tornare alla mia terra di origine. Mi sono trovato davanti ad un bivio: tornare indietro e regalarmi a quella vita di misera e piena di pericoli oppure affrontare le dune. Così in Niger con questo gruppo di ragazzi ci siamo aiutati raccontandoci ognuno la propria storia, in questo modo ci siamo dati supporto a vicenda per andare avanti. Attraversare il Sahara è stata un’esperienza amara ma per fortuna sono riuscito a entrare in Libia. Forse per la mia giovane età (13 anni) trovai subito una famiglia di libici che mi accolse. Avevo i miei spazi e il mio lavoro, il mio padrone, che era una persona molto importante nel regime di Gheddafi, mi trattava come un figlio. La sua famiglia era molto benestante e dopo due tre giorni dall’inizio della Primavera Araba fu presa di mira da molti clan. Per proteggerla dovette scappare, mi disse che non mi avrebbe voluto abbandonare, ma era costretto, mi diede una pacca sulla spalla dicendomi di cercare un’altra soluzione per me stesso. Così rimasi nel loro appartamento che era in un palazzo di loro proprietà. Quindi ero diventato il responsabile anche degli affitti della sua palazzina. Una notte vennero due camion di militari che ruppero il portone d’ingresso e sequestrarono tutti i nostri averi. Per la troppa corruzione che c’era in Libia non avevo la possibilità di mettere i soldi in banca, così se li portarono via insieme alle mie cose: la TV, lo stereo, il telefono che avevo acquistato lavorando. Facevano lo stesso per ogni posto dove vivevano gli stranieri devastando e rubando tutto», Omar maneggia la sigaretta ancora spenta, anche Lattanzio ascolta per la prima volta questa storia mentre la birra che aveva comprato lentamente si scalda nell’ottobrata barese.
«Venire in Italia? Sinceramente non era nei piani, ma in quelli di Gheddafi. Quando arrivai in Libia dopo la traversata del deserto presi la decisione di rimanere perché non volevo soffrire di nuovo per un altro viaggio pericoloso. Poi Gheddafi ha deciso di mandare i migranti in Europa pensando che così gli europei lo avrebbero lasciato in pace (in quel momento Francia e Gran Bretagna bombardavano l’esercito regolare libico, NdR). La nostra traversata del Mediterraneo è stata ben organizzata dalle autorità locali. Avevamo il pieno di benzina e altre taniche nel caso fosse finita, la barca era molto grande e a più piani, piena di cibo e di acqua, tutto alla perfezione. Anche se ci fossimo persi alla deriva saremmo comunque riusciti a sopravvivere ma alcune persone morirono ugualmente. Fummo forzati a venire in Italia, contro la nostra volontà, c’era una grande differenza con chi era venuto prima di noi e quelli che stanno venendo ora … È un peccato che la Primavera Araba sia andata così, perché credo che chi creò quella tensione in Libia ha minato le condizioni di sicurezza nel mio paese con l’Isis e con Boko Haram, come in Mali. Solo che il Mali è attrezzato per affrontare questo tipo di minacce, mentre il mio paese è impreparato: un giorno attaccano in un villaggio, quello dopo in un altro ed è difficile da prevedere e bloccare …», sintetizza Omar.
Omar oggi ha 27 anni e da dieci si trova in Italia e in un certo senso cerca il suo riscatto sociale dopo il caporalato. Negli anni è riuscito a prendere la terza media e l’anno scorso ha terminato l’alberghiero. Oggi lavora in un ristorante, ma vorrebbe che la costruzione di sound system divenisse non solo la sua passione, ma il suo lavoro. «Woosic è stata un’esperienza unica, cerco sempre di migliorarmi, di apprendere nuove cose con lo studio, ma ottenerle collettivamente è stato qualcosa di straordinario. Ci si sente più sicuri, più forti. La storia di ognuno è diversa, le difficoltà che abbiamo passato per arrivare in Italia cementano la nostra unione e amicizia, e queste esperienze messe insieme diventano delle armi in più a livello motivazionale. Ci siamo trovati benissimo tra noi cinque ma anche con il team dei ragazzi di Bari e di Altamura è stata una bellissima esperienza e si sono instaurate delle forti relazioni umane tra noi, da ripetere!», parla Omar.
«All’inizio ci sembrava impossibile da realizzare un sound system e invece quando lo abbiamo terminato non ci potevamo credere. Esserci riusciti è un messaggio da lanciare perché tanta altra gente può ripetere la stessa esperienza, unirsi in questo modo sotto l’aspetto lavorativo diventa un messaggio politico positivo. La nostra idea è basata su due assunti: la musica e la falegnameria, sono due cose che esisteranno sempre nel mondo. Il nostro maestro di Altamura, Mimmo, mi ha donato un mestiere che mi porterò sempre dentro, ma abbiamo bisogno ancora di crescere e allargare le nostre conoscenze. Vogliamo che diventi il nostro lavoro e condividerlo anche con altre persone, insegnando loro come fare, è un modo per combattere il razzismo. È importante per far capire a questa gente che sbaglia a buttare fango sul migrante, sull’africano senza sapere nulla di lui, senza capire perché questo migrante si trova nella sua zona, nel suo quartiere: giudicano, insultano e trattano male il migrante senza conoscerlo. Con il nostro progetto siamo riusciti a metterci insieme, a costruire queste belle casse, che sono uniche in Italia, sono il top del top, con la nostra motivazione, voglia e umanità a livello sociale tra esseri umani, ce la si può fare, loro (la gente razzista) ci possono riuscire. È un messaggio politico universale», conclude Omar.
Le casse costruite da Lattanzio a Roma e quelle del progetto Woosic a settembre del 2022 hanno partecipato alla Triennale di Milano perché Ferdinando Arnò, compositore e produttore discografico, voleva le loro casse ad ogni costo per una sessione di 12 ore continue di jam session. Solo quel tipo di casse riusciva a soddisfare le esigenze di Arnò. «È stata una sorpresa. A luglio tornavo dal mare con mia moglie e mia figlia e mi arriva questa chiamata in cui Arnò si presenta, ci fa i complimenti per il nostro progetto, mi dice che ci vorrebbe alla Triennale per integrare il suo sound system con il nostro. Pensavo fosse uno scherzo, poi ha iniziato a descrivere l’organizzazione con i tamburellisti dalla Zimbawe, violinisti dal Brasile, i tamburellisti di Torre Paduli … tre cantanti rap, un pianoforte … un performance folle di 12 ore … alla fine abbiamo portato entrambi i nostri sound system! Questo vuol dire che stiamo lavorando bene», tiene a precisare Lattanzio. Inoltre Woosic è stato selezionato da Arti Puglia come esempio di Best Practice nell’ambito del progetto europeo E-Cool che promuove imprenditoria, innovazione, sostenibilità e inclusione nella UE.
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