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Profughi siriani, si cerca un modo per rimpatriarli

Profughi siriani,  si cerca un modo per rimpatriarli

Gli attacchi di Israele al Libano sono il pretesto per tornare a parlare della situazione e dell’eventuale rientro in patria dei profughi siriani che dal 2011 hanno trovato rifugio non […]

Pubblicato 25 giorni faEdizione del 12 ottobre 2024

Gli attacchi di Israele al Libano sono il pretesto per tornare a parlare della situazione e dell’eventuale rientro in patria dei profughi siriani che dal 2011 hanno trovato rifugio non solo nel paese dei Cedri ma anche in Giordania. Sul tavolo da tempo, e negli ultimi mesi in modo sempre più evidente all’ordine del giorno anche tra i leader europei (sono centinaia di migliaia i siriani che si trovano all’interno dei confini Ue, circa un milione nella sola Germania) la questione è stata affrontata ieri a Cipro nell’ambito del vertice Med9 in un quadrilaterale tra la premier Giorgia Meloni, il Re di Giordania Abdullah II, il presidente cipriota Nikos Christodoulides e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. Obiettivo dell’incontro: la ricerca di soluzioni possibili a garantire, spiega una nota di Palazzo Chigi, il ritorno in Siria «dei rifugiati siriani in modo volontario sicuro e sostenibile in collaborazione con le principali organizzazioni umanitarie presenti nella regione».

Al di là delle buone intenzioni, che non mancano mai, l’urgenza sembra essere quella di trovare soluzione a una presenza che, dopo 12 anni, è ormai diventata difficile da gestire per molti governi. Sono più di 6,5 milioni i profughi siriani ospitati in 131 paesi (a questi vanno aggiunti 6,8 milioni di profughi interni). La maggio parte di loro, 3,5 milioni, si trova in Turchia, Libano (1,5 milioni) e Giordania (670 mila). Ma un loro eventuale ritorno non potrebbe prescindere da un accordo e un riconoscimento del regime di Bashar al Assad. Non a caso tra i 310 mila civili che secondo il governo libanese si sono diretti verso la Siria nei primi giorni del conflitto, la maggior parte è composta dai profughi siriani che hanno cercato un luogo sicuro nelle aree del paese che non si trovano sotto il controllo del regime.

Non è un particolare secondario. La settima Conferenza internazionale dei donatori della Siria, che si svolta a maggio del 2023 a Beirut, ha infatti messo in evidenza come moltissimi profughi sono dissidenti ricercati in patria dal regime. A questi bisogna poi aggiungere quanti hanno avuto casa e terreni confiscati. Ma, più in generale, a rendere difficile il ritorno sono l’assenza di prospettive, il rischio per ogni maschio adulto di essere chiamato alle armi e la penuria di generi essenziali come cibo, acqua, medicinali elettricità e carburanti.

Nonostante questo, anche l’Europa spinge perché si trovi una soluzione al rimpatrio dei siriani. Meno di tre mesi fa, il 22 luglio, i ministri degli Esteri italiano e austriaco, Antonio Tajani e Alexander Schllenberg, hanno scritto all’Alto rappresentante Ue per la politica Estera Josep Borrell chiedendo un cambio di strategia della Ue nei confronti della Siria. Il nostro obiettivo – hanno spiegato i due ministri a nome anche degli omologhi di Croazia, Repubblica Ceca, Cipro, Grecia, Slovacchia e Slovenia – è «creare le condizioni per il ritorno sicuro volontario e dignitoso dei rifugiati siriani». Condizioni che non possono che passare da un confronto con il regime che, prosegue la lettera sollecitando una politica europea «più realistica», «è riuscito a consolidare il proprio potere riprendendo il controllo di oltre il 70% del paese». Un passo ulteriore il governo lo ha fatto lo scorso 3 ottobre annunciando la nomina di un ambasciatore in Siria. «Una decisione politica», ha spiegato Tajani parlando al Senato, presa proprio «perché la situazione è drammatica». «Ci sono rifugiati siriani che possono rientrare in quel paese – ha proseguito il ministro – e pur non condividendo e condannando le scelte del regime di Assad riteniamo giusto che possa esserci un occhio italiano su questa situazione in continua evoluzione».

Si rischia però, come spesso accade, di fare i conti senza l’oste che i questo caso è il rais siriano. Parlando un anno fa con il ministro degli Esteri giordano Ayman Safadi, Assad si è detto favorevole a riprendere centinaia le centinaia di migliaia di siriani che si trovano in Giordania subordinando però tale possibilità alla ricostruzione del paese e in particolare alla «realizzazione di infrastrutture che consentano ai rifugiati rimpatriati di ritrovare il loro normale ciclo di vita». Impresa da realizzare, sembra di capire, attraverso fondi esteri. L’Europa, e non solo, è avvisata.

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