In un parco di Varsavia, tra due bancarelle che vendono bandiere polacche e ucraine intrecciate incontriamo K, un attivista di Grupa Granica. Il collettivo si occupa di aiutare i migranti che attraversano il confine tra Bielorussia e Polonia che da due anni è teatro di una tragedia umanitaria silenziosa. Il «confine dimenticato» lo chiama K, perché a nessuno sembra interessare della sorte di questi profughi che quotidianamente rischiano la vita per entrare in Europa.

Nel luglio 2022 il premier polacco, Mateusz Morawiecki, appartenente al partito di estrema destra Diritto e Giustizia, e gli alti funzionari della sicurezza nazionale hanno tenuto una pomposa conferenza stampa presso il confine per annunciare il completamento del «muro». 186 chilometri di grate d’acciaio alte fino a 6 metri che, nelle intenzioni del governo di Varsavia, avrebbero dovuto «fermare l’invasione utilizzata dal presidente bielorusso, Alexander Lukashenko, come arma per destabilizzare l’Ue». Poco prima di incontrare K, Grupa Granica ha annunciato il ritrovamento del 45mo cadavere dall’inizio della crisi.

Quante persone al giorno provano ad attraversare il confine?

Ho dei numeri ma non sono precisi perché la metodologia per stabilirli non è semplice, però a quanto ci risulta ogni settimana sono circa in 200 che riescono a passare. Di sicuro è una cifra sottostimata perché non riusciamo a entrare in contatto con tutti quelli che arrivano. Potrebbe anche essere che le nostre informazioni riguardano la metà degli ingressi reali, è impossibile dirlo.

A partire da quando?

Dipende dalle stagioni, d’inverno il rischio di morire assiderati è altissimo. Quindi la maggior parte degli ingressi si verificano tra aprile e maggio.

La crisi al confine tra Polonia e Bielorussia è iniziata nel 2021, ad agosto. Tu come hai reagito quando hai visto le immagini di tutte quelle persone che si ammassavano al confine.

Ho iniziato a far parte di Grupa Granica a settembre, circa un mese dopo che si erano verificati i primi incidenti alla frontiera. Vedevamo in tv tutte queste persone arrivare e non c’era nessuno lì ad aiutarle. Le guardie di frontiera le respingevano indietro in continuazione e la zona di frontiera bielorussa è un’area molto selvaggia, le foreste sono talmente fitte che in alcuni tratti non si vede a pochi metri. D’inverno si gela. All’inizio partecipavo alle raccolte di vestiti, acqua e beni di prima necessità qui a Varsavia. Il materiale raccolto veniva poi inviato sul campo, nei villaggi nei pressi della frontiera. In un secondo momento ho deciso di unirmi direttamente a chi lavorava sul campo e di andare io stesso nei boschi per portare queste provviste ai migranti.

E cosa fanno queste persone dopo aver passato il confine?

In buona sostanza non possono chiedere l’asilo in Polonia perché la nostra legislazione è molto proibitiva sotto quest’aspetto. Quindi la maggior parte di loro prova a continuare verso la Germania e a passare il confine lì.

I controlli sono aumentati lungo il confine con gli anni?

Al contrario, all’inizio era più sorvegliato, perché non c’era il muro. Il governo aveva fatto passare delle leggi d’emergenza che in pratica rendevano queste aree delle zone ad accesso limitato nelle quali soltanto i residenti potevano passare o delle persone che avevano delle motivazioni provate. Non era il massimo della legalità però per il governo in quel momento ha funzionato. In pratica hanno tagliato una striscia di territorio di circa 2 km a partire dalla frontiera e dentro quest’area hanno impedito l’accesso gli attivisti. Ai giornalisti e a chiunque volesse andare sul posto a vedere cosa stava succedendo o a dare una mano. In alcuni tratti, come nella Foresta di Białowieza il bosco è talmente denso che tutta l’area diventa praticamente inaccessibile. In questa buffer zone c’erano pattugliamenti costanti. Poi è arrivato anche l’esercito.

Come li aiutate praticamente?

Li aiutiamo in Polonia, quando arrivano nei boschi, portando loro beni di prima necessità, cellulari e sim perché capita spesso che le guardie di frontiera gli rompono il telefono o gli rubano le sim per evitare che possano tornare indietro o che possano contattare gli altri migranti

Quali guardie? Quelle polacche o quelle bielorusse?

Accade anche sul territorio polacco. Abbiamo testimonianze di respingimenti brutali, violenza da parte della polizia polacca. Abbiamo molte testimonianze di migranti che raccontano delle guardie di frontiera, della polizia o dell’esercito che usano spray urticanti. Li fermano e poi usano lo spray, forse per non fargli vedere cosa faranno poi. A quanto ci risulta è una cosa comune, succede alla maggioranza delle persone quando vengono prese.

Possiamo definirlo un contesto di ordinaria violenza?

Al momento credo sia esattamente violenza ordinaria e credo che sia addirittura peggiorata progressivamente rispetto a due estati fa. I primi tempi registravamo delle violenze ma mi sembra che oggi siano “normalizzate”.

E poi c’è la differenza enorme nell’accoglienza tra i rifugiati ucraini e queste altre persone.

È una follia. È come se vivessimo in due mondi differenti. Da un lato ci siamo noi in piedi nei boschi di notte con le luci frontali rosse che cerchiamo di aiutare queste persone a riempire i documenti per le richieste al governo polacco e dall’altro ci sono i nuovi centri per i rifugiati ucraini nella città di Varsavia. Io non vedo la differenza tra questi due tipi di persone, ma invece è proprio come se fossimo su due pianeti diversi. Ed è una consapevolezza che a volte ti fa sentire come se fossi pazzo. Provi a tenere l’attenzione più alta possibile, a cercare consensi ma alla fine sei sempre in una giungla, in piedi a riempire documenti di fretta.

Cosa pensi della reazione europea a questa crisi?

Terribile. Uno dei miei primi pensieri politici sulla situazione è stato «dov’è l’Unione europea?». Perché delle persone possono torturare altre persone in Europa e nessuno reagisce?