La Commissione Ue ha aperto una nuova “procedura di infrazione” contro la Polonia: riguarda la recente legge, votata a maggio e firmata dal presidente Duda la scorsa settimana, che istituisce un corpo speciale, fuori dal sistema giudiziario, incaricato di provare l’influenza della Russia nella politica interna polacca. Per Bruxelles, questa legge viola la Costituzione polacca e può venire usata contro l’opposizione. In autunno ci sono le elezioni in Polonia e la Commissione teme che possa essere utilizzata per escludere dalla corsa il principale oppositore del Pis, Donald Tusk.

Difatti, se un esponente politico viene messo sotto accusa per relazioni sospette con Mosca – Tusk quando era primo ministro aveva firmato un accordo sul gas russo – può venire penalizzato, con sanzioni che possono arrivare fino all’esclusione per dieci anni dai pubblici uffici. Il Pis fa di tutto per mantenersi al potere e mira a un terzo mandato. Il corpo speciale sarà composto da 9 membri nominati dal parlamento, dove il Pis ha la maggioranza.
NON È SOLO LA UE a vedere in questa legge una distorsione dello stato di diritto. Persino gli Usa hanno protestato e temono che il corpo speciale «possa interferire in elezioni libere e giuste». L’opposizione, che domenica è scesa in piazza a Varsavia con una grande manifestazione, rifiuta di prendere parte al “corpo speciale” e boicotta la nuova legge.

La procedura di infrazione è al primo stadio: ieri, da Bruxelles è stata spedita a Varsavia una lettera formale per informare il governo dell’avvio dell’iter. Contro la Polonia – e l’Ungheria – sono già state avviate procedure in base all’articolo 7 dei Trattati, per non rispetto dei valori fondamentali della Ue: una procedura avviata, per la Polonia, dalla Commissione nel dicembre 2017 (sull’indipendenza della giustizia), e per l’Ungheria dall’Europarlamento nel settembre 2018.
LA DERIVA ILLIBERALE di due paesi della Ue preoccupa. Tanto più che l’estrema destra conquista terreno nei paesi europei e l’idea di fondo – contestare la priorità delle leggi europee su quelle nazionali – è ormai ripresa anche dalla destra classica in alcuni paesi (in Francia dai Républicains, per esempio, per quanto riguarda l’immigrazione).

IL 1° GIUGNO, il Parlamento europeo ha votato a larga maggioranza (442 voti contro 144) una risoluzione non vincolante per chiedere alla Commissione di «trovare una soluzione il più presto possibile» sulla questione della capacità dell’Ungheria di «assumere credibilmente» la presidenza del Consiglio europeo, nel secondo semestre del prossimo anno, cioè subito dopo le elezioni europee del 6-9 giugno 2024. La presidenza (a rotazione) ha un peso: decide l’agenda del Consiglio, affida al paese che la detiene la guida degli incontri settoriali e la negoziazione dei testi di legge.

Un paese che è sotto la procedura dell’articolo 7 ed è stato per il momento escluso dai finanziamenti del Recovery, oltre ad avere relazioni ambigue con la Russia, può presiedere il Consiglio? La Germania ha «dei dubbi», ha già fatto sapere la sottoministra dell’Europa, Anna Lührmann. Il Belgio, che precede, Danimarca e Cipro, che seguono nel 2024-2025, sono perplessi.
UN «NONSENSE» ha ribattuto Budapest, che afferma che «non c’è una strada legale» per privare l’Ungheria della presidenza. In realtà, dei mezzi ci sono, anche se non sono mai stati utilizzati: i 27, con un voto a maggioranza qualificata in Consiglio, possono cambiare l’ordine delle rotazioni oppure ci può essere una “sospensione” che affida i sei mesi di presidenza agli altri due paesi del “trio” (le presidenze che precedono e seguono), ma con una modifica: dovrebbero essere Spagna e Belgio, le due che precedono l’Ungheria, perché a seguire, dal 1° gennaio 2025, sarà la Polonia.

Il rompicapo delle presidenze a rotazione problematiche riguarda anche la Polonia, che solleva perplessità per il rispetto dello stato di diritto. Per tutt’altri motivi – le elezioni che arrivano durante il semestre – preoccupa anche l’efficacia dell’imminente presidenza spagnola (dal 1° luglio): l’opposizione del Pp ha già chiesto a Pedro Sánchez di rimandare a settembre il discorso programmatico della presidenza spagnola, sperando di vincere le legislative del 23 luglio e di prendere il potere.