Mentre si apriva lo show case del teatro kosovaro a Pristina si chiudeva Manifesta14, il mega evento di arte contemporanea, la Biennale nomade, come la chiamano i promotori, che ogni due anni trasloca da una città europea all’altra (Barcellona sarà la prossima). Con un programma lungo 100 giornate, tra performance, laboratori, mostre e incontri puntava soprattutto al riuso e alla rigenerazione di molti spazi pubblici della città, dagli edifici pubblici anche governativi agli spazi industriali, dalle scuole ai café, dalla biblioteca al museo. Si lascia dietro il modello espositivo delle fiere d’arte per disseminare un modello di co-creazione basato sulla partecipazione e il coinvolgimento dei cittadini e degli artisti e sulla costruzione dal basso di un nuovo racconto della città secondo principi inclusivi. Difficile dire quanti e quali risultati siano stati raggiunti. Accompagnata da polemiche e critiche avanzate dagli operatori locali per l’eccessivo investimento del governo e della municipalità di Pristina (si parla di 4 milioni di euro), Manifesta 14 ha raggiunto il record di 800.000 visitatori, ha fatto uscire la città e il Paese dall’anonimato portando tanti artisti stranieri e probabilmente lascerà l’eredità di una Fondazione che dovrebbe attuare le politiche culturali nazionali. Ma come hanno scritto Lirika Demiri e Aulonë Kadriu dalle pagine di Kosovo 2.0, finita la festa, probabilmente i vecchi problemi rimarranno, come l’obsolescenza e l’abbandono di tanti spazi pubblici e la mancanza di risorse e investimenti da destinare alla scena culturale e artistica locale.

Per tutta la durata dell’evento il Grand Hotel di Pristina, che in passato ospitava nelle sue stanze la nomenklatura comunista, è stata la location che ha raccolto lungo un percorso di nove piani le opere più interessanti di artisti locali e internazionali come Majilinda Hoxha, Driton Hajredini, Patrit Abazi, Stanislava Pinchuk, Driant Zeneli, Sejla Kameric, Adrian Paci, Hana Zeqa, Roni Horn, Jumana Manna e tantissimi altri.
Jakup Ferri è artista contemporaneo, nato nel 1981 a Pristina dove vive e lavora. Crea dipinti, ricami e tappeti ma anche video e musica. Con le sue opere ha partecipato alla Biennale Arte di Venezia del 2022 e a Manifesta 14 di Pristina. La dimensione artigianale della sua arte si coniuga con una ispirazione surreale e giocosa di un mondo coloratissimo animato da bambini, animali e circensi

Quanto della cultura e del paesaggio del Kosovo entra nelle tue opere? Si può parlare di identità culturale e artistica kosovara?
Ho sempre bisogno di trovare una nuova immagine, un’immagine perfetta che mi renda felice per qualche tempo e questo mistero della ricerca costante di una nuova immagine spesso rende impossibile dare una risposta esatta alla domanda da dove viene l’ispirazione. Mio padre è un pittore e sono cresciuto nel suo studio con i suoi studenti e i libri d’arte. Ascoltando tutte quelle conversazioni fin dalla tenera età sono stato introdotto alle grandi civiltà e ai cambiamenti culturali. Quando ero giovane ero aperto e interessato a quello che succedeva fuori dal Paese. Ora posso dire che sono molto più interessato alle mie rotte culturali kosovare o alla natura. Penso che fuori dal Kosovo si sappia molto poco delle figure uniche che il Kosovo ha avuto durante il XX secolo. Pittori come Nysret Salihamixhiq, Engjell Berisha, Xhevdet Xhafa, Muslim Mulliqi, Rexhep Ferri o scrittori come Anton Pashku, Ali Podrimja, Mirko Gashi. Compositori come Rexho Mulliqi e Nexhmije Pagarusha (cantante) e molte altre figure dovrebbero essere più conosciuti al di fuori del Kosovo. Ora ci sentiamo molto vicini ai Paesi europei ma nello stesso tempo siamo molto anonimi. Quando studiavo arte (1999-2004), Prishtina era invisibile e isolata dal mondo e dal mondo dell’arte occidentale. Ciò ha influenzato il mio lavoro.

Qual è la tua opinione sull’arte contemporanea in Kosovo?
Penso che l’arte kosovara abbia avuto un’età d’oro negli anni ’60 e ’70, penso che fosse molto contemporanea. Dopo la guerra in Kosovo c’era una scena artistica molto diversa e abbastanza positiva, credo che siano arrivate molte opere interessanti. Possiamo ricordare artisti come Sislej Xhafa, Sokol Beqiri, Mehmet Behluli, Petrit Halilaj, Flaka Haliti ecc. Ciò che è mancato in Kosovo è stata una istituzione che documentasse, archiviasse e presentasse tutte le opere e gli artisti, dagli anni ’60 ad oggi.

C’è un tema o un’ossessione particolare nei tuoi lavori? Quale?
Mi interessano tante cose ma quando inizio a lavorare cerco di dimenticare tutto; meno penso e più sono determinato e concentrato, e mi sorprende come un’immagine nasca per caso, senza pensarci, e ciò mi rende curioso per continuare a vedere che tipo di nuove immagini troverò e come le visualizzerò.
Una delle mie ossessioni riguarda la microvita, cioè come appaiono, come vivono e come trascorrono il loro tempo i diversi microrganismi e batteri. Più piccoli sono, più mi sembrano interessanti.

Qual è il tuo rapporto con altri artisti contemporanei dentro e fuori il Kosovo? Ci sono artisti che consideri tuoi maestri o con i quali senti un’affinità artistica?
Mi piacciono le persone con una natura speciale che spesso trovo negli artisti outsider, mi piacciono anche molti artisti contemporanei, designer, architetti, c’è molto da vedere dall’Africa al Messico. E poi tra i miei artisti italiani preferiti c’è Carlo Zinelli, uno dei miei più grandi ispiratori, Ettore Sottsass, l’architettura radicale di Superstudio e Archizoom, gli architetti Aldo Rossi e Carlo Scarpa.