Editoriale

Primo passo, andare a votare

Grazie al consueto e caratteristico spettacolo della transumanza di candidati e voti (usanza degli ex capi corrente democristiani e ora con la regia del berlusconiano Gianfranco Miccichè), e per effetto […]

Pubblicato quasi 7 anni faEdizione del 5 novembre 2017

Grazie al consueto e caratteristico spettacolo della transumanza di candidati e voti (usanza degli ex capi corrente democristiani e ora con la regia del berlusconiano Gianfranco Miccichè), e per effetto del voto disgiunto (che consente di giocare su più tavoli), il risultato delle elezioni siciliane potrà essere decifrato in diversi modi. Ma una cosa invece sembra chiara e forse indicativa di una tendenza nazionale: lo scontro, la battaglia per la conquista del palazzo d’Orleans di Palermo sarà tra centrodestra e 5stelle. E probabilmente tra qualche mese sarà così anche per palazzo Chigi.

Altrettanto probabile è il contraccolpo che questo duello tra destra e 5stelle provocherà a sinistra, a iniziare proprio dal voto siciliano, con l’annunciata sconfitta dei dem. Che, del resto, non sarebbe certo una novità viste come sono andate le ultime elezioni regionali e comunali, quando il Pd di Renzi ha subìto il record di astensioni (il 37 per cento nella storica roccaforte dell’Emilia Romagna), conosciuto sconfitte imprevedibili, come la perdita di Genova, sopportato l’iniziativa leghista come negli ultimi referendum di Lombardia e Veneto. E, salvo sorprese, lo scontro tra destra e grillini si ripeterà in un’altra significativa elezione locale, contemporanea al voto siciliano, il voto per il municipio di Ostia, che vale una media città italiana con i suoi 250mila abitanti.

Dove, per l’appunto, la partita politica si gioca in una municipalità commissariata per mafia.

Sono tendenze ormai consolidate, frutto in primo luogo della crisi economica, che fa soffiare il vento nelle vele della destra, variamente declinata, e trova nei 5stelle il canale privilegiato della rabbia sociale.

La difficoltà di Renzi è evidente e la Sicilia non dovrebbe fare eccezione. Come del resto dimostra la “fuga” – o se vogliamo, la lontananza – del segretario del Pd dalla campagna elettorale, la latitanza dell’alleato Alfano, e la discesa nell’isola del piemontese Fassino che, in coppia con il candidato presidente Micari, si è lanciato, perfino lui, sulle “magnifiche e progressive” potenzialità economiche del Ponte sullo Stretto, la grande opera-fiction del Berlusconi del 2001, che fece man bassa di seggi nei collegi uninominali, vincendo 61 (per lui), a zero (per l’opposizione).

Così accanto alla sfida principale, tra il destro Musumeci e il grillino Cancelleri, sarà importante quella che oggi si gioca tra Micari (Pd), e Fava (sinistra, con la sua lista dei “Cento passi”), una competizione determinata certamente da fattori locali, ma ugualmente significativa nei suoi riflessi nazionali, sia sul fronte del destino del segretario dem sia sulla nascita di una forza non marginale di una sinistra nazionale e alternativa. Che, in Sicilia come del resto in tutto il Paese, dovrà dimostrare di essere in grado di intercettare soprattutto il consenso dell’astensionismo di sinistra, di quella società civile molto attiva nelle associazioni e nelle battaglie civili e sociali, ma assente nella rappresentanza politica.

Una eventuale vittoria del M5S in Sicilia, con una dignitosa affermazione della lista-Fava, potrebbe rappresentare un punto di svolta anche in una terra dove finora i gattopardi l’hanno avuta vinta.

Il futuro della Sicilia – oltre le boutade sul Ponte e tante facili promesse – è rimasto sullo sfondo. Quali sono le idee e i programmi che vanno al voto? A parte la questione degli “impresentabili”, da non sottovalutare nella terra dove pesa la Mafia, la campagna elettorale è stata povera di idee e confinata tra le tifoserie dei giustizialisti contro i garantisti. Ben poche le proposte ascoltate per togliere dall’arretratezza una popolazione di cinque milioni di elettori.

Ma tutto questo oggi, domenica 5 novembre, conta poco. Mentre moltissimo conterà l’astensione, che si annuncia poderosa. Ecco perché chi crede nella possibilità di un cambiamento reale – a sinistra – dovrà fare il primo dei cento passi andando a votare. E di buonora.

 

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