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Primavere arabe in arte: l’autonarrazione attraverso la cultura

Primavere arabe in arte: l’autonarrazione attraverso la culturaL'immagine di copertina del romanzo tunisino "L'Italiano"

2011-2021. Le primavere arabe Cinema, musica e letteratura: la rivoluzione ha aperto a un decennio di creatività artistica e di voglia di raccontare se stessi e il proprio paese

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 26 gennaio 2021

TUNISIA. Due romanzi entrano nel passato con chiavi di lettura rivoluzionarie

Due libri, successivi alla rivoluzione dei gelsomini, raccontano il passato con gli occhi della rivolta, la Tunisia di Bourghiba e di Ben Ali con le chiavi di lettura che il movimento rivoluzionario ha regalato alla società permettendole di indagare se stessa. Il primo è L’Italiano di Shukri al-Mabkhout (pubblicato da e/o): la storia – e l’amore – di Abdel Nasser, uno dei leader del movimento studentesco negli anni ’80, e Zeina, attivista berbera, svela le promesse tradite da Bourghiba, come in parte tradite sono state le promesse di cambiamento immaginate nel 2011.

Il secondo è Ouatann. Ombre sul mare (Fazi), ambientato nel 2008 in una villa dove si incontrano cinque diversi personaggi. Sullo sfondo una politica mafiosa e diseguaglianze sociali che spingono i giovani a prendere il mare. Come oggi.

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EGITTO. I giorni della rivolta sul grande schermo

«Vedremo se la terra resta asciutta o se verrà inghiottita dal mare», dice la moglie del contadino Farraj a proposito del suo entusiasmo per le libere elezioni seguite alla rivoluzione di piazza Tahrir. La loro famiglia viene raccontata da Anna Roussillon nel documentario Je suis le peuple (2016), che filmato nel giro di due anni dal 2011 al 2013 testimonia attraverso questa famiglia contadina lo scetticismo iniziale nei confronti della rivolta, la passione per la sua apparente riuscita, e infine l’avverarsi della profezia della donna con il colpo di stato di Al-Sisi.

Un immagine del film “Je suis de peuple”

Un altro film girato nel corso di anni – stavolta dieci, dal 2003 al 2013 – racconta l’Egitto dai tempi di Mubarak a quelli di Al-Sisi attraverso la vita di Nadia e dei suoi figli: We Have Never Been Kids (2015) di Mahmood Soliman. In The Last Days of the City (2016) il regista egiziano Tamer El Said fa un ritratto del Cairo nel periodo che precede la rivoluzione, le elezioni, il colpo di stato – come recita il titolo «gli ultimi giorni della città».

Gli eventi di piazza Tahrir sono documentati da The Square di Jehane Noujaim (2013), e dall’«instant movie» antologico 18 days (2011), composto di 10 episodi girati da altrettanti filmmaker egiziani, fra cui Yousry Nasrallah. In Clash (2016) Mohamed Diab ritrae tutte le anime della società egiziana a bordo di una camionetta della polizia che progressivamente si riempie di manifestanti scesi in piazza nel 2013, durante la «seconda ondata» delle proteste.

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ALGERIA. La colonna sonora dei ribelli algerini

La creatività espressa negli slogan e negli striscioni delle manifestazioni dell’hirak sono il frutto del contagio che la mobilitazione popolare ha avuto sul mondo artistico. La colonna sonora è partita dallo stadio di Algeri con l’inno dell’Usma (una squadra di Algeri), in versione politica, la «Casa del Mouradia», ispirata alla celebre serie spagnola Casa de papel.

La canzone è stata suonata persino dall’orchestra di musica classica andalusa. Nella settimana dopo la prima manifestazione è uscito il video-clip «Libérez l’Algérie», su iniziativa del cantante Amine Chibane che ha coinvolto, tra gli altri, Amel Zen.

La rapper algerina Raja Meziane

La colonna sonora della protesta si arricchisce a ogni tappa. Dall’interno dell’Algeria e dalla diaspora, gli artisti fanno sentire la loro voce. Dalla Repubblica ceca, la rapper radicale algerina Raja Meziane fa arrivare la sua «Rebelle». A fare il botto, in tutte le manifestazioni di algerini in Algeria e nel mondo, è il rapper Soolking che vive a Parigi, con «La liberté». Questa volta gli artisti (ne abbiamo citato solo alcuni) non si sono fatti ricattare dal regime.

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LIBANO. Hip hop e rap cantano Beirut: «Mai viste piazze così felici»

Una canzone scritta nel 2011, a onorare i popoli arabi che si stavano sollevando contro i regimi, è rispuntata nelle piazze libanesi dall’ottobre 2019 in poi. È «Thawra» (rivoluzione) del re dell’hip hop libanese Rayess Bek: «È la prima volta che vedo così tanta gente – ha detto in un’intervista a The National – È festosa, felice, canta e grida. Mai vista una protesta così felice».

Altra canzone simbolo è «Hexaphobia» del rapper Bu Nasser Touffar: era già nella sua testa, si è materializzata – ha raccontato – con le piazze piene. Malikah ha portato la questione dell’uguaglianza di genere nella musica con «3am 7arib» (Combatto). Voci anti-autoritarie si alzano dai palchi e le piazze libanesi.

 

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