«Prima ci massacrano, poi ci proteggono»
Il secolo armeno Fra i profughi a Erevan, oggi in piazza contro il premier Pashinyan. Aliyev: «Più di 5mila azeri torneranno alle loro case in Karabakh»
Il secolo armeno Fra i profughi a Erevan, oggi in piazza contro il premier Pashinyan. Aliyev: «Più di 5mila azeri torneranno alle loro case in Karabakh»
«Domani alle 17 in Piazza della Repubblica, contro il governo di Nikol Pashinyan». Per tutto il pomeriggio questo messaggio è riecheggiato da due auto in transito tra le strade del centro di Erevan. Su quella davanti ci sono altoparlanti e bandiere armene, dal tettuccio aperto della seconda spunta un uomo che riprende. In momenti di crisi riuscire a comunicare meglio del proprio avversario è tutto, e qui in Armenia i social network sono letteralmente invasi di proclami e analisi. La folla dei passanti fissa le auto senza particolare attenzione, sono quasi dieci giorni che si protesta oramai e non sembra che queste manifestazioni faranno cadere il governo.
LE FOTO DEGLI SFOLLATI in fuga dal Nagorno-Karabakh sono ancora il principale soggetto delle comunicazioni in rete, del resto nella sola giornata di ieri hanno attraversato il confine più di 20 mila individui, portando il numero ufficiale dei profughi a oltre 80 mila. Le manifestazioni di solidarietà internazionale si stanno intensificando ma finora le cifre promesse dai paesi occidentali sono ancora relativamente basse e non sfiorano, complessivamente, neanche i 40 milioni di euro. Niente, se si pensa ai miliardi messi a disposizione per l’Ucraina. La novità è che da ieri il presidente azero, Ilham Aliyev, dice che «la sicurezza della popolazione armena del Nagorno-Karabakh sarà protetta». «Ovvio, no?» mi dice Irina, «prima ci massacrano, ci costringono a fuggire e poi ci proteggono pure». Ma la seconda parte della dichiarazione la fa infuriare ancora di più: «Abbiamo già presentato alla comunità armena la nostra visione di reintegrazione, che include il rispetto dei loro diritti religiosi e culturali, riflessi nelle convenzioni internazionali firmate dall’Azerbaigian». «Rispetto dei diritti culturali… e allora perché ci stanno impedendo di portare via le opere del museo di Stepanakert? Perché distruggono le nostre case, ma di che diavolo parlano». Non è possibile tenere una conversazione su questi argomenti a Erevan attualmente. Lo stato emotivo della popolazione armena è troppo fragile, sottoposto a continue esplosioni di rabbia e di tristezza senza soluzione di continuità. Aliyev ha anche aggiunto che più di 5 mila azeri, «sfollati interni, torneranno alle loro case in Karabakh entro la fine del 2023». Cinquemila su uno spazio che fino alla settimana scorsa ne ospitava 120 mila.
SEDA ASPETTA con ansia una famiglia che aveva conosciuto a Stepanakert durante la guerra del 2020. «Dovrebbero arrivare stasera» mi dice, per questo deve tenersi libera. Marut Vanyan, un giornalista armeno del Nagorno-Karabakh che è stato la principale voce dalla capitale dell’Artsakh durante i giorni dell’embargo e le ore della guerra-lampo azera, pubblica una foto della sua valigia a terra su una strada della capitale. «Arrivato a Erevan… starò da amici per un paio di giorni. Nessun’idea di cosa farò in seguito… ». Ci eravamo incontrati due giorni fa a Goris, quando Marut era appena rientrato da Stepanakert. Al ristorante dell’hotel stava mangiando il primo piatto caldo da settimane, «anche se nei mesi scorsi talvolta qualcuno ha cucinato su un fuoco in cortile». Circondato da un gruppo insistente di giornalisti internazionali Marut si è scusato più volte per la sua stanchezza, per la poca voglia di raccontare in continuazione le stesse cose, ma poi parlava lo stesso. «Chi scappa e ha ancora qualche riserva di cibo la lascia di fronte alle case in modo che chi è costretto a restare possa trovarla; dopo così tanto dolore e così tante difficoltà è incredibile che si riesca a pensare ancora agli altri, no?» dice con un sorriso strano, assente, simile a quello dei santi o degli eremiti nei dipinti antichi.
OGGI PRIMA della manifestazione contro il governo si terrà un corteo per chiedere la liberazione di Ruben Vardanian, che non è il solo ex-membro del governo filo-armeno della Repubblica dell’Artsakh a essere stato arrestato da Baku. Da Erevan chiedono di considerarli «prigionieri di guerra» o «prigionieri politici» e reclamano la loro immediata liberazione. Da parte dell’Azerbaigian, invece, si esulta per la cattura di «pericolosi separatisti» e le autorità assicurano che i processi si terranno.
RESTA DA CAPIRE, ancora una volta, che ruolo avrà la Russia nei nuovi equilibri regionali. In primis è incerta la sorte del contingente di pace inviato a conclusione della guerra del 2020. Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha dichiarato che «la questione sarà chiarita nei negoziati con l’Azerbaigian». Ma sono in bilico anche i le alleanze storiche. Ieri si è tenuta a Tula una riunione dei ministri della Difesa della Csi. I capi delegazione di otto paesi, tra cui Azerbaigian e Armenia, dovevano arrivare in Russia per partecipare al summit. Tuttavia, a quanto pare all’ultimo momento e senza preavviso, il ministro della Difesa armeno, Suren Paikyan, non si è presentato.
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