Prigionieri di guerra ucraini in Ungheria? Kiev accusa
Visegrad e oltre La rubrica sui sovranismi dell'Est Europa. A cura di Massimo Congiu
Visegrad e oltre La rubrica sui sovranismi dell'Est Europa. A cura di Massimo Congiu
Fa discutere il caso degli undici prigionieri di guerra (o presunti tali) ucraini nelle mani dell’esercito russo fino all’8 giugno scorso secondo alcune fonti, fino al 9 secondo altre, e trasferiti in Ungheria. Bisogna premettere che non è ancora chiaro cosa sia successo realmente e quali siano le dinamiche esatte dell’accaduto. Risulta che tre di loro sono tornati a casa dopo le proteste di Kiev per non essere stata informata in merito a questo trasferimento. La domanda è: perché e come dei prigionieri di guerra ucraini sarebbero stati mandati in Ungheria?
Il governo di Budapest afferma di non aver avuto parte alcuna in questa operazione che, secondo le sue informazioni, sarebbe stata organizzata dalla Chiesa ortodossa russa e dal Servizio di beneficenza dell’Ordine di Malta. Il gruppo risulterebbe essere originario della Transcarpazia, regione situata nella parte sud-occidentale dell’Ucraina che è tra l’altro sede di una minoranza ungherese di proporzioni numeriche ragguardevoli. Kiev, però, accusa l’esecutivo guidato da Viktor Orbán di aver dato luogo ad una manovra segreta allo scopo di rafforzare il consenso interno. La risposta delle autorità ungheresi è che non si tratta di prigionieri di guerra nel senso inteso dall’Ucraina, e che i medesimi possono lasciare il territorio in cui si trovano in qualsiasi momento visto che non sono sottoposti ad alcun tipo di controllo. I funzionari del governo hanno precisato che né loro né le autorità russe hanno definito gli ucraini trasferiti “prigionieri” ma “persone coinvolte in conflitti armati”. Per Budapest e Mosca sarebbero quindi dei civili o per lo meno le autorità dei due paesi li avrebbero trattati come tali, sempre secondo l’esecutivo danubiano.
Ma perché sarebbero finiti in Ungheria? Nessuna delle parti in causa, al momento, ha fornito spiegazioni chiare. Come già precisato, Budapest e Mosca negano di essere state coinvolte direttamente in questo episodio che a loro detta, come già precisato, sarebbe avvenuto per iniziativa di istituzioni religiose e caritatevoli. Quella russa risulta essere la già citata Chiesa ortodossa guidata dal patriarca Kirill che sarebbe stato in passato un agente del KGB.
Da notare che l’Ue avrebbe voluto imporre sanzioni anche contro quest’ultimo ma si è scontrata con l’opposizione di Orbán. È noto che più volte il premier ungherese ha levato la voce contro quella che definisce ostilità verso la Russia ormai di moda nel mondo occidentale. È anche noto che Bruxelles deve sempre confrontarsi con le resistenze ungheresi a fronte di ulteriori sanzioni contro Mosca e così è stato anche per lo stanziamento di nuovi fondi destinati a Kiev.
I rapporti fra Budapest e i vertici dell’Ue sono tutt’altro che distesi; se erano già difficili prima, in pratica da quando Orbán è tornato al potere, ora lo sono ancora di più. Il motivo è dato dalla posizione assunta dal governo ungherese nel frangente del conflitto russo-ucraino. Motivo che è alla base della tensione esistente oggi fra Budapest e Kiev. Il presidente Zelens’kyj accusa Orbán di essere l’unico leader dell’Ue a sostenere “la guerra di Putin in Ucraina”, l’agenzia ucraina anticorruzione ha inserito l’importante banca ungherese OTP in una lista nera dove trovano posto i nomi di aziende accusate di sponsorizzare le iniziative armate russe in Ucraina. Si tratta di due esempi che descrivono in modo concreto lo stato delle relazioni bilaterali fra Budapest e Kiev.
Quest’ultima non crede all’estraneità del governo danubiano nell’affare degli undici cittadini ucraini (prigionieri di guerra secondo l’accusa, civili o giù di lì secondo Budapest) trasferiti in Ungheria a fare cosa, non si sa. Per le autorità ucraine si è trattato di un’iniziativa motivata da interessi personali del premier Orbán. Le domande e i dubbi intorno a questa vicenda abbondano e non è il caso di rifarne menzione. Vi è invece da dire che, come di solito accade in guerra, il concetto di verità diventa qualcosa di sfumato e relativo. Non ci sono invece grandi dubbi sulle strumentalizzazioni che hanno al centro la crisi russo-ucraina e sull’esistenza di una narrazione parziale di cui la stessa è oggetto da una parte e dall’altra. In mezzo c’è un paese che è sempre più teatro di un braccio di ferro tra interessi contrapposti.
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