Prezzi alti, salari bassi. La lotta dei lavoratori si riprende l’Argentina
Argentina Dal punto di vista sociale la situazione è catastrofica. Secondo le stime, con questa nuova svalutazione in Argentina c'è il 40% di povertà, un debito gigantesco, in gran parte con il Fmi, uno dei peggiori salari minimi dell’America Latina ed emergenza alimentare per la metà dei ragazzi e delle ragazze del nostro paese
Argentina Dal punto di vista sociale la situazione è catastrofica. Secondo le stime, con questa nuova svalutazione in Argentina c'è il 40% di povertà, un debito gigantesco, in gran parte con il Fmi, uno dei peggiori salari minimi dell’America Latina ed emergenza alimentare per la metà dei ragazzi e delle ragazze del nostro paese
Un riquadro con il valore del dollaro è presente su tutti gli schermi televisivi. Dopo le primarie dell’11 agosto, interrogarsi su come reagiscono i mercati è una costante. I servizi sul traffico che si ripetono ogni mezz’ora parlano di blocchi stradali. Alcuni danno spazio alla notizia e commentano che sono le organizzazioni sociali, che in questi giorni, come negli ultimi anni, mettono in piedi assemblee e ollas populares – le distribuzioni di cibo in strada con grandi pentoloni – per denunciare la crisi alimentare prodotta dalle politiche del governo. Giovedì scorso sono state circa 200 in tutto il paese.
UNA NOTA SU UNO SPARTITO, visto il valzer di scioperi, manifestazioni, verdurazos, yerbatazos e migrantazos degli ultimi anni. «Dal punto di vista sociale la situazione è catastrofica. Secondo le stime, con questa nuova svalutazione abbiamo il 40% di povertà, un debito gigantesco, in gran parte con il Fmi, uno dei peggiori salari minimi dell’America Latina ed emergenza alimentare per la metà dei ragazzi e delle ragazze del nostro paese», ha assicurato al manifesto Juan Grabois, dirigente di riferimento del Mte (Movimento dei lavoratori esclusi) e della Ctep (Confederazione dei lavoratori dell’economia popolare), considerato un amico stretto di Papa Francesco, ma che preferisce definirsi «un militante sociale».
Da parte sua Hugo Yasky, segretario generale di una delle due maggiori sigle sindacali argentine, la Cta (Central de Trabajadores de la Argentina), dice che Macri oltre all’alto livello di indebitamento «lascia un paese con due elementi che raramente si vedono combinati insieme, una severa recessione e un’altissima inflazione, cioè un’economia paralizzata dove l’inflazione non si può attribuire né all’aumento dei salari né all’aumento della domanda. Gli economisti neoliberisti dovranno rivedere tutte le loro teorie: l’Argentina brucia i libri della loro biblioteca. Macri sperava in una pioggia di investimenti che non si è prodotta e ha confuso i gesti di amicizia di alcuni leader del mondo con una vera integrazione. Lo stiamo pagando con povertà e disoccupazione».
SE LO SCENARIO delle primarie si dovesse ripetere alle elezioni di ottobre, Mauricio Macri cesserà di essere il presidente degli argentini e Alberto Fernández potrà continuare a criticare le politiche neoliberiste del suo predecessore, ma a partire dal 10 dicembre dovrà anche governare il paese.
Ma con quale agenda? Secondo Yasky «l’urgenza è provare a ricomporre il tessuto produttivo, le piccole e medie imprese che generano approssimativamente 7 posti di lavoro ogni 10 in Argentina, ovvero il settore più colpito dalle politiche di Macri». Per Grabois «deve esserci un forte choc di redistribuzione della ricchezza e di ricomposizione per i settori popolari; l’integrazione urbana dei 4.490 quartieri esclusi del paese, nei quali vivono oltre sei milioni di persone senza i più elementari servizi pubblici; e una riforma agraria che garantisca ai piccoli produttori e alle popolazioni native l’accesso alla terra».
Entrambi hanno appoggiato la formula Alberto Fernández-Cristina Fernández de Kirchner, ma non sono attori organici del kirchnerismo. Nel caso quest’ultimo si affermasse alle urne, a partire da dicembre dovranno entrare in disputa con altre correnti interne al governo per imporre le loro priorità, una su tutte la riforma del lavoro.
IL MACRISMO ha avuto il merito di unire, nelle azioni, le grandi centrali sindacali che in altri tempi divergevano, e le stesse ai movimenti sociali. Yasky ricorda: «Questi hanno potuto governare perché siamo divisi, ci dicevano». Adesso c’è una sorta di speranza a denti stretti, perché «è angosciante vedere che tutti i giorni i prezzi schizzano alle stelle e i salari vanno indietro». A ciò si aggiunge «la perdita del lavoro». Secondo l’istituto nazionale di statistica (Indec) la disoccupazione ha raggiunto il 10,1% (quasi il doppio tra i giovani). «Bisogna rifondare il contratto sociale – afferma il leader della Cta – affinché lo Stato non sia subordinato al Mercato».
Secondo l’Organizzazione internazionale del lavoro, l’Argentina ha il secondo tasso di sindacalizzazione dell’America latina. E sebbene le corporazioni sindacali siano la forma tradizionale di organizzazione dei lavoratori, non sono l’unica.
UN TERZO DEGLI OCCUPATI sono i lavoratori dell’economia popolare, che hanno cercato nuove forme di aggregazione e hanno formato la Ctep, rivendicando il programma «terra, tetto e lavoro». La linea d’azione la descrive Grabois: «Bisogna capovolgere l’ideologia neoliberista a partire dalla costruzione del potere popolare e della democrazia piena, che è anche sulle strade e nei quartieri. Noi e tutte le altre organizzazioni lavoriamo per la sconfitta di Macri, nonostante abbia ricevuto l’appoggio del potere economico e di chi ha aspirazioni neocolonialiste, e ci sentiamo orgogliosi del nostro popolo perché abbiamo potuto batterlo alle urne».
(Traduzione di Gianluigi Gurgigno)
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