In queste settimane sono più di 500 le iniziative che in Italia celebrano la castagna, il frutto simbolo dell’autunno. Nelle zone montane la sagra della castagna è la più diffusa manifestazione italiana. Sagre, spettacoli e convegni vogliono esprimere il debito di riconoscenza nei confronti della pianta che ha sfamato per secoli le popolazioni delle aree collinari e montane. Nella fascia appenninica e prealpina, dove il grano non si può coltivare, è stato «l’italico albero del pane» (Giovanni Pascoli) a sopperire alla mancanza di cereali. Castagne in cambio di grano è stata per lungo tempo la forma di baratto più importante, in una fase storica in cui non erano presenti la patata e il mais, arrivati solamente dopo la scoperta delle Americhe.

LA DECADENZA DEL CASTAGNO ha coinciso con l’abbandono delle zone interne da parte delle popolazioni. Molti castagneti sono stati abbandonati e han finito per essere colonizzati dalla vegetazione spontanea, trasformandosi in boschi misti. L’attenzione si è concentrata sui castagneti più produttivi e con frutti di qualità più pregiata, portando ad una crisi di produzione che si è accentuata nel corso degli anni. Nonostante questa perdita produttiva, sul territorio italiano sono ancora più di cento le varietà di castagne e marroni appartenenti alla specie Castanea sativa, quella dominante in Europa. Non c’è nessun altro paese che abbia una presenza così diffusa di varietà, che si sono adattate alle diverse condizioni di suolo e clima, dai 400–500 metri fino ai 1200 metri di altitudine.

IN QUESTA FASCIA IL CASTAGNO ha sempre rappresentato la pianta di riferimento e questo spiega il gran numero di iniziative che ogni autunno vengono intraprese per mantenere vivo l’interesse per l’albero e i suoi frutti. La perdita di produzione non è solo legata all’abbandono dei territori e alle scarse cure di cui godono i castagneti. Sono anche i cambiamenti climatici ad avere un notevole impatto sulle piante di castagno. Siccità e temperature elevate stanno provocando stress idrico e termico, alterando il ciclo vitale delle piante.

QUEST’ANNO IN MOLTE ZONE, a causa delle alte temperature e della scarsa piovosità, la raccolta delle castagne è iniziata con venti giorni di ritardo. I frutti rimanevano sugli alberi, non cadevano, perché il caldo autunno non consentiva ai ricci di aprirsi e liberare il prezioso contenuto. Al contrario di quanto avviene per le altre piante, per il castagno la temperatura più elevata ritarda la maturazione dei frutti.

UN ALTRO FENOMENO CHE SI PRESENTA in modo sempre più diffuso tra le piante di castagno, al centro-sud come al nord, è la doppia fioritura. La fioritura normale avviene nel mese di giugno, ma le anomalie climatiche si stanno manifestando con una tale intensità e frequenza da far saltare l’orologio biologico delle piante, con la conseguenza di una seconda fioritura a settembre. I ricercatori del Cnr e dell’Università dell’Insubria di Varese hanno osservato la fioritura settembrina sui castagni del lago di Como e della Valchiavenna nel corso di uno studio sul patrimonio genetico delle popolazioni di castagno della Lombardia.

LE GEMME DORMIENTI, CHE DOVEVANO fiorire alla fine della prossima primavera, si sono risvegliate mentre sulla pianta erano in fase di maturazione i frutti. I castagni che hanno scambiato l’autunno con la primavera hanno prodotto quest’anno frutti di dimensioni ridotte, mentre il prossimo anno sarà inferiore il numero di gemme in grado di fruttificare. Anche l’Università di Catania, in collaborazione con quella dell’Estremadura (Spagna), sta conducendo uno studio sul rapporto tra castagno e cambiamenti climatici. Vengono messe a confronto tre aree coltivate a castagno che si trovano in Estremadura, Calabria e Sicilia, con le medesime caratteristiche di suolo e clima. Da alcuni anni le tre aree sono interessate da fenomeni di siccità e temperature elevate che stanno danneggiano le piante. Lo studio dovrebbe concludersi con l’individuazione delle varietà di Castanea sativa che mostrano più tolleranza allo stress idrico e termico. I castagni ci parlano e ci mettono di fronte agli effetti dei cambiamenti climatici, fornendoci gli elementi utili a comprendere come le alte temperature e la siccità fanno saltare i meccanismi di regolazione. Il castagno, pur avendo mostrato grandi capacità di adattamento, non è in grado di sopportare gli stress idrici e termici cui viene sottoposto.

L’AUMENTO DELLA TEMPERATURA MEDIA in Italia e negli altri paesi del Mediterraneo porterà, inevitabilmente, ad una riduzione dell’area del castagno, soprattutto nelle zone al di sotto dei 500 metri di altitudine. L’elevata età media degli alberi, le scarse cure di cui godono, il mancato ricambio dei castagneti, rendono ancora più difficile la situazione. Le piante devono anche fare i conti con vecchi e nuovi parassiti.

QUELLO PIÙ RECENTE È IL CINIPIDE galligeno, un imenottero proveniente dalla Cina, ribattezzato vespa cinese, che attacca esclusivamente le piante di castagno e che, a partire dal 2000, ha messo in serio pericolo i castagneti italiani. Insediatosi nella provincia di Cuneo, una delle aree più importanti per la produzione, si è diffuso fino a raggiungere il sud Italia. La sua azione produce la formazione di escrescenze che ostacolano lo sviluppo delle foglie e dei fiori, impedendo la formazione dei frutti. Il parassita ha contribuito notevolmente al calo produttivo degli ultimi anni.

LA LOTTA BIOLOGICA HA MOSTRATO di essere la forma più efficace per controllarlo, attraverso l’impiego di un altro imenottero (Torymus sinensis) che è il suo antagonista naturale. Ma la lotta al cinipide ha fatto passare in secondo piano due altre temibili malattie del castagno, il cancro corticale e il mal d’inchiostro. Sono entrambe malattie fungine. Il mal d’inchiostro è quello che preoccupa di più perché l’attività del fungo, che attacca le radici, portando alla morte la pianta, è legata alle modificazioni che subisce il suolo per i cambiamenti climatici.

SONO NUMEROSI GLI ELEMENTI che concorrono alla crisi del castagno e che mettono a rischio quello che è stato considerato per lungo tempo, insieme all’ulivo, il più importante patrimonio vegetale del nostro paese. Tuttavia, non si può prescindere da questa pianta se si vogliono recuperare le aree interne del nostro paese.