Il governo Meloni aumenterà l’incidenza della povertà assoluta e di quella minorile. E peggiorerà la condizione di chi, pur lavorando, resta povero. In un anno e mezzo le sue politiche hanno precarizzato il lavoro e non hanno diminuito l’elevata percentuale di contratti a tempo determinato di cui l’Italia ha il record europeo. La disoccupazione resta elevata ed è caratterizzata da una significativa componente di lungo periodo e, nonostante l’aumento quantitativo dei posti di lavoro, il tasso di occupazione resta tra i più bassi del continente. E per aumentare i salari, che sono cresciuti meno in tutta l’area Ocse, sarebbe necessario un salario minimo orario da 9 euro lordi.

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SONO QUESTI I RISULTATI dell’analisi contenuta nel rapporto su «occupazione, competenze professionali e inclusione sociale in Italia» pubblicato ieri dalla Commissione Europea (in inglese, da pagina 29 a 39). Un colpo molto duro per il governo Meloni che ha escluso centinaia di migliaia di famiglie dal «reddito di cittadinanza» e ha ristretto fortemente l’accesso alle misure che lo hanno sostituito: l’assegno di inclusione per i poveri assoluti e il supposto per la formazione e lavoro per i poveri ritenuti «abili al lavoro» (gli «occupabili»). «In media, senza tenere conto dei potenziali effetti della riforma come maggiori incentivi al lavoro – si legge nel testo – si prevede che l’assegno di Inclusione determinerà una maggiore incidenza della povertà assoluta e infantile di 0,8 punti percentuali e 0,5 punti percentuali rispetto al precedente schema». Le nuove misure del governo «non stabiliscono l’ammissibilità esclusivamente sulla base della verifica del reddito, ma limitano l’accesso solo ai nuclei familiari appartenenti a specifiche categorie demografiche, compresi minori, persone di età superiore a 60 anni o con disabilità e quelli seguiti dai servizi sociali». Le nuove misure possono essere cumulate con l’assegno unico universale ma, sostiene la Commissione Ue, per la maggior parte delle famiglie l’effetto di riduzione della povertà «è controbilanciato dall’inasprimento dei criteri di ammissibilità».

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IL RAPPORTO UE dà un giudizio negativo, o comunque in chiaroscuro, sul cosiddetto «decreto lavoro», quello varato dall’esecutivo in maniera provocatoria il primo maggio 2023 che ha riaffermato la possibilità per i datori di lavoro di ricorrere a contratti a tempo determinato di durata inferiore a 12 mesi senza necessità di giustificazioni («causale») e ha esteso la durata massima dei contratti a tempo determinato a 24 mesi. «Non affronta l’elevata quota di assunzioni a tempo determinato nel settore pubblico».

IN POCHI MINUTI dalla pubblicazione del rapporto dal ministero del lavoro ieri hanno cercato di depotenziare il senso politico del giudizio giunto a meno di un mese dalle elezioni europee. «È un giudizio parziale perché si basa su uno studio statico [di Bankitalia, ndr.] che non considera dinamiche di attivazione generate dalle nuove misure e dalla crescita dell’occupazione, la cui valutazione porterebbe a un’analisi più positiva». Se è vero che il modello usato da Bruxelles è «statico», non si può dire che il testo non offra una valutazione negativa sugli effetti delle misure per l’occupazione prese dal governo sulla base dei dati dell’Istat. Giudizio sospeso, perché non verificabile per i noti problemi strutturali, sulle «politiche attive del lavoro» finanziate con i miliardi del Pnrr. Lo studio Ue considera la prospettiva pluriennale dagli anni 90, e dal Covid. I problemi di sono storici.

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PER LA CGIL IL GOVERNO «deve ripensare completamente tutte le misure». Per i Cinque Stelle, il governo «è disastroso». Per l’ex presidente Inps Pasquale Tridico, candidato M5S alle europee, «ha aumentato la povertà in Italia e ha fatto cassa sui poveri».