La ministra del lavoro Marina Calderone ieri è stata smentita dall’Inps sul numero delle prime persone che risulteranno escluse ufficialmente dall’assegno di inclusione, la misura che ha cancellato il cosiddetto «reddito di cittadinanza».

In una conferenza stampa al termine del Consiglio dei ministri che aveva varato il Decreto legislativo «anziani» Calderone ha sostenuto che, a partire da oggi, «450 mila famiglie» avrebbero potuto ritirare la «carta inclusione» sulla quale, a partire dal 15 febbraio, avrebbero potuto trovare «645 euro al mese» del sussidio. Un’ora dopo, invece, l’Inps ha diffuso una nota in cui ha smentito il governo e ha rifatto i conti. Le famiglie sono invece 288 mila.

Sulle 446.256 domande pervenute entro il 7 gennaio scorso, sono state respinte 117.461 «per mancanza di requisiti». Ad esempio, la mancanza della Dichiarazione sostitutiva unica, l’avere superato la soglia di reddito Isee prevista (9.350 euro, basta anche un solo euro in più per essere esclusi), un’omessa dichiarazione dell’attività lavorativa (che spesso non è un elemento che fa superare la soglia prestabilita del reddito). E ancora: le famiglie sono state escluse perché, tra i loro membri, manca un disabile, oppure i richiedenti hanno meno di 60 anni.

Farsi smentire dall’Inps è clamoroso, almeno quanto lo è l’approssimazione con la quale Calderone ha confuso il numero delle domande con quello delle domande accettate. Ma, al netto di questo, è l’esatta applicazione del progetto delle destre, quello varato il primo maggio 2023 con un provvedimento provocatorio adottato nel giorno della «festa del lavoro» per punire i poveri ed escluderli da una misura comunque limitata, malconcepita e pensata per governare le persone e non liberarle dalla povertà. In attesa di dati definitivi, la platea dell’assegno di inclusione sarebbe di 737 mila nuclei familiari, il bilancio di questo progetto è il seguente: i 288 mila nuclei titolari dell’Assegno di inclusione (Adi) sono il 29% della platea precedente del «reddito di cittadinanza» che prima del taglio deciso a maggio (porterà a un risparmio sulle spalle dei poveri di quasi due miliardi di euro) era stimata di oltre un milione di famiglie. Crescerà, probabilmente, ma è chiaro che il totale sarà inferiore. È quello che il governo Meloni intende fare.

Inoltre, non va dimenticato l’esito che sta avendo la misura parallela a questo «assegno». L’hanno chiamata «supporto per la formazione e il lavoro» ed è mirata ai «poveri assoluti» definiti «occupabili» – cioè «abili al lavoro». Tra domande accolte e realmente pagate, si parla di 25 mila persone. Non è un fallimento. Anche in questo caso è voluto. Così funziona il Workfare: è come una fisarmonica, i criteri di accesso a una misura cambiano al cambiare dei governi.

Non c’è solo la violenza sociale sui vulnerabili, c’è anche la, confusione, l’aggravio di burocrazia e il personale a rischio di burn out. Lo denunciano la Fp-Cgil che ieri ha denunciato la disorganizzazione dei servizi addetti. «C’è rabbia e frustrazione».