Il mistero intorno alla figura del fisico Bruno Pontecorvo riemerge all’incirca ogni quindicennio. Nel 1992 la sua storia fu raccontata dalla giornalista Miriam Mafai e nel 2007 se ne occupò lo storico Simone Turchetti. Ora la sua vicenda riemerge grazie al fisico Giuseppe Mussardo, che torna a esplorarne l’enigma in un lungo saggio intitolato Maksimovic recentemente pubblicato da Castelvecchi (pp.170, euro 17,50). Ma neanche a lui riesce di illuminare fino in fondo i tanti punti oscuri della sua traiettoria.

La vita di Pontecorvo sembra riassumere in una esistenza sola le biografie di tutti i suoi compagni di via Panisperna. Era ebreo come Segré e la moglie di Enrico Fermi Laura Capon, anche se non fu l’antisemitismo a portarlo via da Roma: cresciuto a Pisa in una famiglia laicissima, Pontecorvo scoprì le discriminazioni solo a Parigi, dove la violenza dell’Action Française anticipò di pochi anni quella dei nazisti. Come il suo maestro Fermi aveva un eccezionale talento teorico ma anche una straordinaria capacità di progettare e realizzare esperimenti. Al pari di altri «ragazzi», da via Panisperna emigrò a ovest all’avvicinarsi della guerra: dopo Parigi andò negli Usa, in Canada e poi nel Regno Unito, dove acquisì persino la cittadinanza. E come Majorana anni prima, nel 1950 fece perdere le sue tracce per riemergere cinque anni dopo nei laboratori sovietici dei dintorni moscoviti.

A DIFFERENZA di Fermi e Segré, Pontecorvo non ricevette mai il premio Nobel. Tuttavia, come Mussardo evidenzia opportunamente nella sua biografia scientifica, dobbiamo a lui gran parte delle attuali conoscenze sui neutrini, le particelle più misteriose del Modello Standard.
Fu un esperimento ideato dal fisico a permettere a Frederick Reines e Clyde Cowan di rilevare gli anti-neutrini emessi dai reattori nucleari, una scoperta che nel 1995 meritò il Nobel. Altri due Nobel legati ai neutrini devono molto ai suoi studi: sia quello del 1988, per la scoperta del neutrino muonico assegnato a Jack Steinberger, Leon Lederman e Melvin Schwartz, che quello assegnato nel 2015 a Arthur McDonald e Takaaki Kajita per la scoperta della mutazione del neutrino, rappresentano conferme sperimentali di teorie proposte da Pontecorvo.
Almeno quello del 1988 avrebbe potuto riceverlo da vivo. Ma l’accademia non gli perdonò mai la fuga a est, percepita dai colleghi – soprattutto dagli italiani – come un tradimento inspiegabile.

OLTRE ALL’ANTISEMITISMO, a Parigi Pontecorvo aveva scoperto il comunismo nel laboratorio di Frédéric e Irène Joliot-Curie e grazie ai contatti con il cugino Emilio Sereni, dirigente del Pci nella diaspora antifascista. La militanza lo portò a giustificare persino i processi di Beria in nome dell’ideologia. Ma dopo la guerra, e gli anni trascorsi tra America e Regno Unito, la passione politica sembrava ormai contare ormai meno della fisica, e persino del tennis o della pesca subacquea. Nonostante decenni di ricerche, presunti legami tra il fisico e l’apparato spionistico sovietico non sono mai stati accertati. Una fuga tanto imperscrutabile finì per amplificare i sospetti nei suoi confronti proprio tra coloro che credevano di conoscerlo meglio.

UNA VOLTA A MOSCA, Pontecorvo scoprì che anche l’Urss si fidava poco di un occidentale esperto di fisica nucleare passato oltrecortina, che fu tenuto lontano dalle ricerche più scottanti. Eppure accettò senza proteste questa altre contraddizioni della Russia stalinista e post-stalinista, comprese quelle che colpivano gli ebrei. «Bruno aveva creduto al comunismo come fosse una scienza, ma la sua era stata una religione», scrive Mussardo. E questo rimane il punto interrogativo più grande intorno alla sua figura.