Polonia maglia nera, ma non solo per la giustizia
Sorvegliate speciali Ora Varsavia e Budapest annunciano la creazione di un loro istituto di ricerca
Sorvegliate speciali Ora Varsavia e Budapest annunciano la creazione di un loro istituto di ricerca
La Polonia è uscita con le ossa rotte dal primo rapporto della Commissione europea su stato di diritto e libertà dei media nei paesi membri. È in testa alla classifica dei paesi maglia nera. A destare maggiori preoccupazioni a Bruxelles è soprattutto il primo ambito anche se va sottolineato che la repolonizacja dei mezzi di informazione – soprattutto le testate a diffusione locale possedute da gruppi stranieri come Verlagsgruppe Passau – resta uno dei pallini del governo della destra populista di Diritto e giustizia (Pis).
Le riforme portate avanti negli ultimi anni in Polonia hanno avuto l’effetto di «aumentare l’influenza del potere esecutivo e di quello politico sul sistema giudiziario contribuendo al contempo a minare l’indipendenza della magistratura», si legge nella relazione annuale che potrebbe servire da ingranaggio di base per sbloccare l’ottenimento dei fondi europei da parte dei paesi membri.
Il Pis, ieri alla prese con l’annuncio di un rimpasto di governo, in cui il numero uno del partito Jarosław Kaczynski ricoprirà l’incarico di vicepremier, non ha ancora commentato i contenuti del rapporto. Quella che era stata pensata come una decisione politica, accettata a malincuore anche da Polonia e Ungheria in sede di Consiglio Ue a luglio scorso, potrebbe diventare un vero e proprio regolamento europeo attuabile a maggioranza qualificata sotto la presidenza di turno tedesca. Allora il premier polacco Mateusz Morawiecki si era vantato di fronte ai polacchi di aver difeso gli interessi del proprio paese: «La Polonia non perderà neanche un centesimo di euro dei fondi che abbiamo ottenuto per il nostro sviluppo», il che resta ancora tutto da vedere. Sì è vero, in questi anni Bruxelles per mancanza di unanimità tra i paesi membri – Polonia e Ungheria si sono alleate impegnandosi a mettere il veto a ogni iniziativa presentata contro i rispettivi stati – non è riuscita ad attuare l’«opzione atomica», ovvero l’articolo 7 del Trattato di Lisbona che prevede anche l’eventuale sospensione dei diritti di voto di un Stato membro. Anche gli esiti del conflitto sull’indipendenza dei giudici in Polonia, tra il partito fondato dai fratelli Kaczynski e la Corte di Giustizia europea, restano tutti da verificare.
Intanto a Varsavia e Budapest si sono mosse in anticipo annunciando nella giornata di lunedì la creazione di un istituto di ricerca sullo stato di diritto nell’Ue per promuovere «trasparenza» ed evitare l’applicazione di «doppi standard».
La Polonia ha già avuto un assaggio della perdita di fondi europei quest’estate quando la Commissione ha respinto delle domande di cofinanziamento di progetti presentate dai 6 città dichiaratesi libere dall’«ideologia Lgbt» o impegnate nella promozione dei «valori tradizionali della famiglia». Dopo aver criticato aspramente la Polonia in un rapporto approvato a Strasburgo il 17 settembre, la settimana scorsa la Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni del Parlamento (Libe) si è espressa in favore della creazione di un meccanismo annuale di «verifica a tre» (Commissione, Parlamento, Consiglio) negli stati membri legato anche ai diritti delle minoranze sessuali ed etniche.
La settimana scorsa gli ambasciatori di 43 paesi nonché 7 funzionari di organizzazioni internazionali hanno inviato una lettera di condanna al governo polacco: «I diritti dell’uomo non hanno niente a che vedere con l’ideologia perché sono universali», aveva commentato in un tweet l’ambasciatrice Usa a Varsavia Georgette Mosbacher. Si tratta dell’ennesimo segnale che dopo quasi 5 anni di governo la reputazione della Polonia nell’era targata Pis è sempre più deteriorata all’estero.
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