Continuano le proteste dei trattori nei paesi dell’Europa centro-orientale. Dopo gli agricoltori rumeni che hanno protestato domenica scorsa, ieri è stata la volta dei trattoristi polacchi. La contestazione ha avuto luogo in oltre un centinaio di località nel Paese sulla Vistola, nella maggioranza dei casi tra mezzogiorno e le due di pomeriggio arrecando non pochi disagi alla circolazione. La protesta è stata organizzata dalla sezione degli imprenditori agricoli di Solidarność, il leggendario sindacato libero fondato nel 1980 da Lech Wałęsa, che si attesta da oltre un decennio su posizioni vicine alla destra populista di Diritto e giustizia (Pis). Tra i postulati principali degli organizzatori la messa in sicurezza dell’agricoltura europea e polacca prima dell’accessione dell’Ucraina all’Ue e la riforma delle regole della Politica Agricola Comune.

Trattasi di rivendicazioni dal respiro ampio per tutto il settore come quelle sollevate la settimana scorsa dai trattoristi tedeschi che erano giunti fino alla Porta di Brandeburgo. La questione del «grano delle discordia» di provenienza ucraina è sempre lì sul tavolo, irrisolta da oltre un anno, quando in Polonia al governo c’era ancora il Pis di Jarosław Kaczyński, un partito appoggiato da molti elettori rurali. Adesso gli interessi di coltivatori e allevatori in Polonia sono rappresentati invece dal Partito popolare polacco (Psl) entrato a dicembre scorso a far parte dell’attuale esecutivo guidato dai liberali di Piattaforma civica (Po) di Donald Tusk. Non sarà di certo la visita del premier Tusk a Kiev degli ultimi giorni a cambiare le carte in tavola. Il primo ministro polacco ci ha tenuto a presentare di persona al presidente ucraino Volodymyr Zelensky un nuovo pacchetto di assistenza militare ma ha anche ammesso l’esistenza di «conflitti di interessi» tra i due Paesi.

Nulla è cambiato dopo la «crisetta» diplomatica nei rapporti tra Polonia e Ucraina della primavera scorsa. Anzi, si può affermare che le incrinature fra Varsavia e Kiev siano aumentate negli ultimi mesi. Un esempio su tutti il blocco del confine da parte dei camionisti polacchi conclusosi la settimana scorsa dopo due mesi di barricate. Gli autotrasportatori polacchi avevano chiesto a gran voce la reintroduzione dei permessi di ingresso nell’Ue per i colleghi ucraini. Ma soprattutto ad aprile scorso Varsavia ha detto «nie» ai cereali provenienti dal Paese vicino. Il giorno prima delle proteste dei trattori, il ministro dell’Agricoltura e dello Sviluppo rurale Czeslaw Siekierski, esponente del Psl, ha confermato che la musica non è destinata cambiare nei prossimi tempi: «L’embargo sul grano ucraino resterà in piedi fino a quando la Polonia non avrà concordato con l’Ucraina delle regole bilaterali sul transito di merci».

Martedì in occasione della riunione dei ministri dell’Agricoltura dell’Ue, Siekierski ha auspicato che la Polonia adotti il modello attualmente in vigore tra Romania e Ucraina che prevede la concessione di una licenza per l’export e il transito dall’Ucraina di alcuni prodotti in particolare. Ma la «soluzione rumena» potrebbe non bastare a calmare le acque. Come spiegare sennò l’insoddisfazione degli agricoltori rumeni culminata nelle proteste degli ultimi giorni? Vero che domenica scorsa in Piazza della Costituzione a Bucarest c’era un solo trattore, ma in queste parti d’Europa tutti si ritrovano con una brutta gatta da pelare.