Polonia e Ungheria si impuntano. Meloni fallisce la mediazione
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Europa

Polonia e Ungheria si impuntano. Meloni fallisce la mediazione

Consiglio Europeo Dal comunicato finale salta il paragrafo sulle migrazioni, sostituito da una «dichiarazione del presidente». Il Patto resta
Pubblicato più di un anno faEdizione del 1 luglio 2023

Il paragrafo sulle migrazioni è stato eliminato dal comunicato finale che ha concluso il Consiglio europeo ieri a Bruxelles, sostituito da una «dichiarazione del Presidente» che evoca il dissenso di Polonia e Ungheria. «C’è bisogno di trovare consenso», dice Charles Michel, ricordando che Varsavia e Budapest insistono sulla solidarietà dei ricollocamenti dei rifugiati «su base volontaria» e non obbligatoria. Nei fatti, però, non cambia nulla. All’inizio di giugno è stato raggiunto un accordo sul Patto Migrazioni e Asilo, con un voto a maggioranza qualificata che adesso, entro fine anno, deve passare al Parlamento europeo. «Il Patto resta – ha tagliato corto l’olandese Mark Rutte – oggi il tema non è stato il Patto sui migranti ma il fatto che a Polonia e Ungheria non piace il modo in cui è stato adottato».

Polonia e Ungheria hanno solo utilizzato la tribuna del Consiglio europeo per esprimere scontentezza. Inoltre, ribadiscono che non vogliono pagare i 20mila euro per ogni migrante rifiutato nella ricollocazione, come alternativa all’accoglienza. Per il lussemburghese Xavier Bettel, Polonia e Ungheria «non rispettano i Trattati». Giorgia Meloni, che ha tentato senza successo una mediazione con i suoi amici sovranisti, ha concluso di «non essere mai disturbata da coloro che difendono i propri interessi nazionali».

NELLA LETTERA CHE la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, aveva inviato ai leader dei 27 la vigilia del Consiglio, c’era l’apertura di Bruxelles «a continuare a esplorare nuove strade» sulle politiche migratorie, anche «out of the box», cioè non convenzionali: c’è chi teme una deriva verso accordi con paesi terzi sul modello britannico dell’accordo con il Ruanda, proprio quando a Londra l’intesa controversa è stata bocciata dall’Alta Corte. Il premier polacco, Mateusz Morawiecki, che continua a ripetere che non vuole che il suo paese diventi «come la Francia», ha ribadito che «per la Polonia è chiaro: aprire le frontiere è un errore» e ha lanciato l’allerta, anche pensando alla Russia: «I confini europei non sono sicuri».

Nel pacchetto immigrazione ci sono anche consistenti finanziamenti, 10,5 miliardi, per gli accordi con paesi di origine (sul modello dell’imminente accordo con la Tunisia) più 2 miliardi per controllare i movimenti secondari. Offensiva sull’immigrazione anche del greco Kyriakos Mitsotakis, che ha smentito ogni contrasto con Frontex, mentre l’agenzia avrebbe minacciato di sospendere l’attività in Grecia dopo le polemiche sui mancati soccorsi che hanno causato la morte di 700 persone. Per Mitsotakis c’è «un’eccellente cooperazione» con Frontex.

L’AMMUTINAMENTO polacco e ungherese ha trascinato il summit fino alle ore piccole nella notte di giovedì, facendo pendere persino la minaccia di un annullamento della seconda giornata, venerdì. Ieri, inoltre, il presidente francese Emmanuel Macron ha lasciato il Consiglio prima della fine, per essere a Parigi a partecipare una secondo riunione di crisi in seguito a una terza notte di disordini nel paese dopo la morte di Nahel, ucciso da un poliziotto martedì a Nanterre. A Bruxelles Il tempo per affrontare le questioni economiche – competitività e sovranità europea – e le relazioni con la Cina è stato breve.

Sulla Cina l’Unione europea va avanti con i piedi di piombo, tra de-risking (cioè diminuzione dell’eccessiva dipendenza e limitazioni all’export di tecnologie sensibili) e necessità di collaborazione. Per il cancelliere tedesco Olaf Scholz, la Cina è «un alleato importante, per il commercio, la lotta al riscaldamento climatico, l’approvvigionamento alimentare, la salute», ma ci sono «differenze di vedute» con la Ue che devono sempre essere sottolineate, a cominciare dai «diritti umani» (Xingjiang, Hong Kong). Gli europei non accettano «forniture di armi alla Russia» da parte della Cina, ha precisato Scholz.

DOPO AVER DEDICATO la giornata di giovedì all’Ucraina, ieri i 27 hanno discusso la possibilità di utilizzare per la ricostruzione gli averi russi congelati nelle banche europee o almeno i profitti generati. Ma Scholz ha ricordato che «è estremamente complicato e nessuno oggi sa cosa è possibile fare e come».

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