Poliziotti egiziani indagati dalla Procura di Roma
Egitto/Italia Ieri dal Cairo, dove ha incontrato gli inquirenti egiziani, il team di Piazzale Clodio ha annunciato per i prossimi giorni l'iscrizione nel registro degli indagati dei poliziotti e i funzionari dei servizi ritenuti responsabili dell'omicidio del giovane ricercatore
Egitto/Italia Ieri dal Cairo, dove ha incontrato gli inquirenti egiziani, il team di Piazzale Clodio ha annunciato per i prossimi giorni l'iscrizione nel registro degli indagati dei poliziotti e i funzionari dei servizi ritenuti responsabili dell'omicidio del giovane ricercatore
La Procura di Roma ha mosso ieri un altro passo della battaglia per la verità sull’omicidio di Giulio Regeni. Dal Cairo, dove ha incontrato gli inquirenti egiziani, il team del sostituto procuratore Colaiocco ha annunciato l’iscrizione nel registro degli indagati di poliziotti e funzionari dei servizi segreti egiziani ritenuti coinvolti.
Un atto dovuto, si precisa, che non rappresenta una rottura della collaborazione con la procura generale del Cairo. Ma che potrebbe dare un’ulteriore spinta a indagini difficilissime, costrette a superare (non sempre con successo) insabbiamenti e silenzi. Chi siano questi soggetti la procura romana lo sa da tempo: agenti di polizia e membri dei servizi sospettati di aver rapito, torturato per giorni e poi ucciso Giulio. Per poi rendersi protagonisti di depistaggi palesi. Soggetti parte integrante della macchina di repressione dello Stato, su cui ricade la responsabilità, non solo su singoli capri espiatori.
L’iscrizione nel registro degli indagati sarà formalizzata in questi giorni ed è stata ieri anticipata agli omologhi egiziani, nel decimo vertice tra procure concluso con una nota congiunta: «Le parti hanno riaffermato la determinazione a proseguire le indagini e incontrarsi nuovamente nel quadro della cooperazione giudiziaria». Colaiocco ha consegnato gli esiti delle indagini sul lavoro di ricerca del giovane.
E da parte sua la procura egiziana ha dato conto dei «buchi» nei famosi video delle telecamere di sorveglianza delle stazioni metro del Cairo: quei «buchi» (dopo due anni di insistenza romana, erano stati messi a disposizione di una compagnia russa che era riuscita però a recuperare solo il 5% dei dati) sono stati spiegati dagli egiziani con la sovrascrittura dei video. Che sia stata voluta o meno – quei video sono rimasti in un ufficio della procura egiziana per due anni – quelle informazioni, preziose, sono ormai date per perse.
Come per perso andrebbe dato il ruolo del governo italiano che non si è mai discostato dal precedente. Solo due settimane fa il presidente al-Sisi è stato accolto dal premier Conte a Palermo, in occasione del vertice sulla Libia. La scorsa estate erano stati i ministri-vice premier Di Maio e Salvini a darsi il cambio alla corte del dittatore, insieme al titolare degli Esteri Moavero. Senza pressioni politiche, il lavoro di Piazzale Clodio è sempre più in salita.
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