Può esistere uno sport politico? Deve esserlo, se un importante strumento di inclusione diventa un’arma della società dello spettacolo per acuire le diseguaglianze. Forse questa è la ragione del successo dell’Atletico San Lorenzo a Roma, polisportiva con circa 500 tesserati di cui una buona metà nel settore giovanile di calcio, basket e volley, maschile, femminile e misto.
Da qualche tempo gira un video meraviglioso del cantautore Emilio Stella: Lo sport è figlio del popolo. È stato girato per i dieci anni dell’Atletico dal videomaker Daniele Martinis, perché sin dalla nascita ne era diventato l’inno ufficiale. «Quando ho iniziato a frequentare l’Atletico e il Cinema Palazzo Occupato, ho pensato al nesso tra calcio di strada e attivismo politico. Ma non avrei mai pensato che quella canzone restasse per così tanto tempo nel cuore dei ragazzi del quartiere. Sentirla cantare in coro mi dà grande emozione. Pensare che un’opera ti oltrepassi, non sia più tua, è una realizzazione che vale più di tutto».

GLI INIZI li racconta Andrea, uno dei fondatori: «Il grande sogno dell’Atletico nasce nell’estate del 2013. Eravamo ultras annoiati e stanchi di andare appresso a un calcio sempre più malato, sporco di miliardi e di controllo sociale. Cercavamo il coinvolgimento del quartiere, il protagonismo dei tifosi, l’azionariato popolare». E poi, continua Ruggero, «volevamo utilizzare lo sport come strumento di trasformazione sociale il cui beneficiario finale, oltre che gli atleti e i soci, era tutto il territorio».

Una trasformazione vitale, in cui il Cinema Palazzo ebbe un ruolo importante. Stefano, uno degli occupanti, prova a spiegare il nesso tra le due storie: «Il discorso dello sport popolare non era nuovo. A San Lorenzo c’era la Palestra Popolare, poi c’era il rugby all’All Reds del Cinodromo. Ed è così che il Palazzo divenne la casa dell’Atletico». Ma come si diventa soci, lo spiega Berenice, dirigente: «La quota di iscrizione è 130 euro per la scuola calcio, che è irrisoria rispetto alle cifre assurde delle scuole calcio della città. Ai genitori che possono permetterselo chiediamo una partecipazione spontanea supplementare. C’è la tessera fuori di testa di 50 euro, per chi vuole sostenere in modo sostanziale la squadra e una tessera per i tifosi».

DOPO IL CALCIO arrivò la squadra di basket che è salita quest’anno in serie D. Ne parla Fabio, uno dei giocatori storici. «Ogni settore ha i suoi problemi con il campo. Noi per anni ci siamo allenati all’aperto, sotto acqua, pioggia e neve, come nelle peggiori tradizioni. Per anni non abbiamo giocato in casa e la differenza l’abbiamo vista quando il nostro campo piovoso è stato coperto e abbiamo avuto il tifo dalla nostra parte». Nello sport dilettantistico il tifo è raro, ma quando esiste diventa un fattore sorprendente di aggregazione e di incitazione per le squadre.

SWARO, ALLENATORE delle giovanili del calcio, la analizza in questo modo: «Da noi c’è correlazione diretta tra il tifoso e la società. Il tifoso certo, vuole strillare per sfogarsi nella settimana, ma vuole anche partecipare alla gestione societaria. Per un giocatore, che è vanesio, il tifo dell’Atletico, con i cori e le bandiere, è una discriminante importante. Da noi, i giocatori arrivano e vanno via per vecchiaia».

Due anni fa il capitano, educatore e attivista Andrea Dorno, se ne andò per sempre, improvvisamente. Fabio ne parla visibilmente emozionato: «Andrea era il capitano, amato da tutti nel quartiere. Da quel momento, in tutte le partite avevamo un pubblico che non si trova neanche in serie A e quest’anno siamo riusciti a mantenere la promessa che c’eravamo fatti da quando lui non c’è più. Portare in D la sua squadra». Valentina, dirigente, si sofferma sul ruolo politico di Nadrea: «Figura fondamentale a San Lorenzo, era il maestro dei bambini alla elementare del quartiere, era occupante del Centro Sociale Communia e ed era educatore al centro estivo. Tra i suoi sogni, c’era la scuola di minibasket, e lo abbiamo realizzato, contribuendo a sedimentarne il ricordo».

I funerali di Andrea Dorno
I funerali di Andrea Dorno

CHI ERA ANDREA DORNO? Tra le pagine dell’Atletico si trova questa sua intervista, dove esplicita il suo amore per il basket politico: «Non è lo sport che deve essere cambiato, ma la presa che questa società contorta ha sullo sport. Purtroppo in Italia, sport e istruzione viaggiano su due rette parallele e questo ahimé l’ho scoperto fin da piccolo, nel mio paese d’origine ad Avetrana. Con l’Atletico abbiamo cercato di riempire un buco provando a dare una possibilità ai bambini. Il progetto “Una scuola atletica” è un progetto scolastico che portiamo avanti da ormai tre anni nelle scuole del quartiere». Mattia racchiude il senso di questa rinascita del progetto nel momento più drammatico dalla sua nascita. «Da quella sera è iniziato un rito collettivo incredibile, mai visto. Le persone hanno sentito il bisogno di stare insieme, di condividere questo dolore lancinante che ha lasciato cicatrici sui cuori di una comunità vastissima. Mi piacerebbe parlare con te in prima persona per dirti: non puoi capire che abbiamo fatto per te!».

L’Atletico è un fatto profondamente politico, in cui si sono canalizzate tantissime energie orfane del Cinema Palazzo e di tutte le lotte che nei decenni si sono fatte nel quartiere. Dice Stefano al riguardo: «Non abbiamo sostegni economici e politici, si fa tutto dal basso, solo attraverso la nostra forza, perché non c’è una politica cittadina sullo sport e sull’accessibilità allo sport». Aggiunge Fabio: «Nell’Atletico ci sono persone che vengono da realtà di militanza molto diverse, spesso conflittuali, ma che si uniscono per una progettualità comune». Il tema della politica diventa una pratica nuova quando si unisce alla pedagogia. Nicola racconta gli inizi dello sport giovanile: «Hai una grande responsabilità, cercare di insegnare ai bambini a rispettare il compagno di squadra, il giocatore avversario, o ancora, a dare la stessa importanza a una bambina che gioca con te, senza distinzione di sesso».

SUL TEMA DELLA PEDAGOGIA, Valentina illustra l’altra faccia della medaglia: «Nel tempo la passione è diventata qualifica: molti giocatori dell’Atletico sono diventati allenatori, hanno preso i patentini anche grazie al sostegno dell’Atletico. Ci deve essere preparazione, professionalità per ottenere i risultati. Però i nostri ragazzi sanno che non li vogliamo a tutti i costi, se il rischio è calpestare qualcuno». Aggiunge Swaro: «Abbiamo scelto un sistema valoriale che è facile da raccontare anche a un bambino: antifascismo, antirazzismo, cose per noi imprescindibili, e poi le vertenze territoriali, come quella vinta per la protezione del campo dagli speculatori. Se oggi abbiamo difficoltà a parlare con i ragazzi più grandi del quartiere, tra qualche anno, grazie al settore giovanile, questa difficoltà si sarà ridotta».

IL PROGETTO VA AVANTI, sempre di più. Da poco l’Atletico ha una sua sede, assegnata dal Municipio, ma completamente ristrutturata con un crowdfunding di 25.000 euro. Andrea, sempre indaffarato per la nuova sede: «Si chiamerà “Volsci 86, casa della Socialità”. Già il nome esprime quello che vuole essere questo posto di condivisione, aperto al quartiere in cui si possono portare avanti i valori e le modalità: autorganizzazione, fare le cose insieme, quello che manca a questa società polverizzata».
Emilio Stella chiude la canzone così, e ci si accorge del perché sia non a caso il loro inno: «Daje San Lorenzo, damose na mano, che comunque vada la vittoria è ciò che semo. Come un grande sogno che oggi va difeso, resteremo uniti, e per questo vinceremo».