Associazione a delinquere per disastro ambientale. Mancate manutenzioni. Benzene e sostanze cancerogene oltre i limiti. Truffa allo Stato. Sono queste le accuse mosse dalla Procura di Taranto all’ex amministratrice delegata di Acciaierie d’Italia, Lucia Morselli, e ai vertici dell’ex Ilva. Accuse che ricordano quelle della precedente indagine Ambiente Svenduto. «Siamo condannati al sacrificio – denuncia Virginia Rondinelli del direttivo del Comitato Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti – ma – avverte – ripristinare a Taranto un rapporto armonioso con l’ambiente è ancora possibile».

Virginia Rondinelli siamo dinanzi a una storia che si ripete?
Tutta la vicenda giudiziaria e politica del siderurgico si ripete uguale a se stessa in modo imbarazzante, almeno dal sequestro del 2012. La nostra comunità, lo dice la Cedu, la Corte di Giustizia europea, l’Onu, è stata destinata al sacrificio. Siamo condannati ad ammalarci di più e a vivere con la paura che questo accada. Siamo una comunità condannata a vivere il rapporto fra lavoro e natura all’insegna dello sfruttamento e del rischio, mentre noi come Comitato siamo consapevoli che possiamo ripristinare un rapporto armonioso con l’ambiente. Questa è l’unica opzione praticabile se vogliamo salvarci dal disastro ambientale irreversibile.

Di lavoro nell’ex Ilva si continua a morire e per altri 5200 lavoratori si prevede la cassa integrazione. Che cosa resta dei proclami sulle garanzie occupazionali?
Dal sequestro del 2012 sono morti 9 operai, durante lo svolgimento del loro lavoro in quella fabbrica. Morti imputabili a mancanza di sicurezza e di manutenzione degli impianti. La priorità è stata data sempre alla produttività. Tra i responsabili della mancata risoluzione della vertenza Ilva – a nostro avviso – c’è il sindacato. I tre confederali e l’Usb dovrebbero spiegare perché, almeno dal 2012, anno in cui il vaso di pandora della “produzione di morti e malattie” è stato scoperchiato dalla gip Patrizia Todisco, non abbiano vigilato sulla sicurezza. Con l’accordo del 2018 i sindacati hanno messo in mano ad ArcelorMittal, quindi alla Morselli ora indagata, le sorti di un’intera classe operaia e delle loro famiglie.

Ci fu un referendum?
L’accordo veniva siglato dopo un referendum la cui regolarità lasciava a desiderare, nonostante gli operai del nostro Comitato avessero portato numeri e dati del colosso predatore franco-indiano, la cui chiara intenzione di non investire ci avrebbe ridotti ancora di più all’osso. L’accordo veniva siglato al Mise nonostante un parere dell’Avvocatura di Stato che restituiva al Governo il compito di stabilire la priorità fra il diritto alla salute e quello al lavoro e nonostante uno scudo penale che conferiva, dal 2015, ai vertici aziendali un’immunità che nel nostro Paese, oltre ai parlamentari, è consentita solo al Papa.

Ci sono stati tanti scioperi, ma…
Non ce n’è mai stato uno ad oltranza. Neanche in occasione degli infortuni mortali o della verità emersa nel 2019 sulle “collinette ecologiche”, diventate una discarica di rifiuti tossici su cui le persone scorrazzavano ignare. Non c’è stato uno sciopero ad oltranza nei “Near Miss” (mancati incidenti ndr) più gravi, come il crollo di una pensilina di cemento di 20 m o lo sversamento di oltre una tonnellata di ghisa fusa (1200/1300 gradi). Dovrebbero spiegare i sindacati firmatari del contratto di fitto ad ArcelorMittal dov’erano. Anche adesso, si sono dichiarati soddisfatti del recente insediamento dei nuovi commissari straordinari, senza dissentire sulle nomine.

A cosa si riferisce?
Nessuna perplessità per la nomina più alta in grado di Giancarlo Quaranta, ex vertice aziendale condannato in via definitiva per ben 3 infortuni mortali occorsi in Ilva negli anni 2002 e 2003, né per la nomina aggiunta di Ruggiero Cola, condannato in primo grado per la morte dell’operaio Alessandro Morricella a sei anni di reclusione. In virtù di questa sentenza, in un processo in cui i sindacati si sono costituiti parte civile, sarebbe stato lecito aspettarsi un sussulto alla nomina proprio di Cola, invece nessuna reazione.

Di recente in merito ai gravi rischi per ambiente e salute si è pronunciata anche la Corte di Giustizia dell’Ue. A decidere ora sarà il Tribunale di Milano. Cosa si aspetta?
Premesso che è inquietante che uno Stato debba essere richiamato da un organismo esterno, invocato dalla cittadinanza, a valutare se finora abbia svolto bene il proprio dovere costituzionale, si profilano due aspetti che potrebbero fare la differenza “se” venisse acclarato che la fabbrica inquina: il primo sta nell’esecutività immediata della sentenza, quindi la sospensione della produzione in attesa che la fabbrica si doti di quanto previsto per ottenere una nuova Aia e non il contrario come è sempre stato finora, il secondo è che il vincolo espresso dalla sentenza coinvolge tutti gli organi dello Stato e questo vuol dire ristabilire le responsabilità anche a livello delle autorità locali.

E della transizione che ne sarà?
È sterile ipotizzare la vera transizione per Taranto all’ombra di leggi che foraggiano chimere di transizione ecologica del siderurgico. È dal 2012 che il Comitato si impegna a raggiungere l’obiettivo della chiusura. Nel 2018, ispirati dal fermo dell’area a caldo dell’Ilva di Genova, abbiamo realizzato con le altre realtà cittadine Piano Taranto, un piano di riconversione, ignorato dalle istituzioni, nonostante le identiche conclusioni di Eurispes nel 2021. Si parla di 30mila persone che lavorerebbero in sicurezza per 30 anni. Attualmente, sostenuto solo dal sindacato Lmo, è caso di studio in un progetto europeo e resta la base su cui costruire il dopo Ilva.