Pnrr e transizione ecologica, occasione negata a Porto Marghera
Il caso Porto Marghera, emblema della difficile transizione postindustriale che ha segnato l’evoluzione delle aree portuali e industriali, avrebbe dovuto rappresentare la sfida chiave per riuscire a saldare nuovi processi di crescita e sostenibilità ambientale e territoriale
Emerge con sempre maggiore chiarezza come il Pnnr non sia l’occasione per quel ribaltamento culturale e di prospettiva che era nel programma, sia sul versante del superamento delle diseguaglianze e dell’aumento della povertà, esito ultimo della pandemia, sia sul versante della transizione ecologica proposta in prima istanza dal Green New Deal. Sta al contrario diventando l’occasione per riesumare progetti giacenti nei cassetti delle amministrazioni locali pensati al di fuori di qualsiasi strategia in grado di generare le modifiche strutturali che le nuove realtà impongono.
Il Pnnr a Venezia avrebbe potuto rappresentare una opportunità straordinaria per impostare una politica di transizione ambientale volta a sviluppare nuovi modelli economici capaci di fare uscire la città dalla monocoltura turistica e dal ruolo passivo di vetrina per eventi internazionali.
In questa prospettiva Porto Marghera, emblema della difficile transizione postindustriale che ha segnato l’evoluzione delle aree portuali e industriali, avrebbe dovuto rappresentare la sfida chiave per riuscire a saldare nuovi processi di crescita e sostenibilità ambientale e territoriale, affiancando al binomio cultura/turismo, l’ambiente, declinato come “innovazione e sviluppo” e non solo come “tutela e difesa”.
Niente di tutto ciò nei programmi dell’Amministrazione veneziana che ha concentrato i suoi sforzi sul Pnrr nel farsi finanziare la realizzazione del nuovo stadio di calcio e del nuovo palazzetto dello sport, ottenendo incredibilmente il placet governativo. Svolgendo un ruolo di supplenza per ora puramente simbolica, ma che si spera serva a promuovere una riflessione in città, il “Forum per Venezia Sostenibile” ha sviluppato un progetto su Porto Marghera, nell’ottica ambiziosa di farla diventare un unico grande incubatore green dove insediare nuove imprese nei settori più innovativi, con servizi e attività finalizzate alla transizione ecologica, promuovendo nuove e robuste interazioni con le attività universitarie e di ricerca.
Nel quadro di questo progetto sono state per ora sviluppate tre linee di immediata realizzabilità e perfettamente finanziabili dal Pnrr. Lo sviluppo di queste linee può essere letto sul sito del Forum (forumve.eu): in sintesi esse riguardano la trasformazione verde di tutti gli spazi non utilizzati o utilizzabili ad altri fini, la realizzazione di un grande parco fotovoltaico senza consumo di suolo collocando i pannelli sulle coperture compatibili degli edifici industriali, la realizzazione di un primo incubatore di imprese green in aree oggi disponibili e pubbliche. Le analisi condotte portano a risultati estremamente significativi.
Il progetto green consentirebbe l’impianto di più di 100.000 alberi, che, oltre agli effetti diretti sull’ambiente – quali la fissazione di 2/3000 tonnellate annue di CO2, l’abbattimento di 11 tonnellate annue di PM10, un effetto di fitorimedio, l’avvio di un processo di bonifica ecosostenibile, impatti positivi sul paesaggio – avrebbe ricadute sui livelli occupazionali sia per le fasi di impianto, che di gestione e di produzione attraverso vivai specializzati.
Il parco fotovoltaico si potrebbe estendere su 130 ettari diventando il più grande parco fotovoltaico italiano con 40/50.000 tonnellate annue di CO2 evitata, il soddisfacimento dell’8% dei consumi di rete del Comune, l’aumento del 64% della potenza installata nella Città Metropolitana. Anche in questo caso oltre alle ricadute ambientali vi sarebbero importanti ricadute sociali e occupazionali.
Il progetto, in considerazione dell’esistenza di un hydrogen park che si appoggia sul know how pregresso della zona industriale, fa una simulazione di quanto idrogeno verde potrebbe essere prodotto attraverso il parco fotovoltaico finalizzandolo al fabbisogno locale, all’accumulo di energia rinnovabile, alla filiera di ricerca.
Infine, come esito di breve periodo, viene prospettata e rappresentata la realizzazione di un incubatore di imprese green in aree pubbliche disponibili esteso su cinquanta ettari capace di un incremento di 2500 posti di lavoro.
Il progetto, i cui costi sono stimabili in circa duecento milioni di euro, indica anche le procedure e la struttura gestionale per ciascuna delle iniziative proposte. Una Portomarghera che cominciasse a trasformarsi attraverso la realizzazione di un grande parco fotovoltaico senza consumo di suolo, in cui gli stabilimenti industriali fossero immersi nel verde e che offrisse un ambiente favorevole dal punto di vista sia economico che infrastrutturale all’insediamento di imprese attive nella transizione ecologica, potrebbe indicare, anche simbolicamente, una direzione di marcia per le molteplici situazioni analoghe esistenti in Italia.
Concludendo, in un momento in cui vengono affannosamente cercate nuove linee di rifornimento di fonti fossili per consentire il mantenimento del nostro sistema produttivo, questo progetto può indicare concretamente alternative ambientalmente compatibili e produttivamente fertili.
L’autore è ex assessore all’urbanistica della giunta Cacciari a Venezia
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