Armi, più armi. Soldati, più soldati – molti di più. Basi, nuove basi. Nuovi soci, nel breve periodo. Nuovi amici che diventeranno soci, nel medio periodo. Ma soprattutto, nuovi nemici. Uno subito la Russia, bello chiaro ed evidente. Uno successivo, la Cina, che matura a vista d’occhio.

Al vertice straordinario di Madrid che è iniziato ieri, la North Atlantic Treaty Organization lancia la sua unione più perfetta, per parafrasare una celebre espressione della costituzione americana: la Nato 2.0. Una Nato globale, non più argine militare europeo, politicamente giustificato dalla difesa contro l’espansiva potenza sovietica, ma strumento di incursione planetaria in ogni sistema che non riconosca come buona e giusta la democrazia occidentale, così come oggi viene praticata.

LO STRUMENTO del cambiamento è lo Strategic Concept, il documento che definisce il concetto strategico prossimo venturo per l’alleanza militare più forte del mondo, un piano decennale che fissa mete e pretende risorse per raggiungerle. In quello precedente, firmato a Lisbona dieci anni fa, la Russia era un partner. In quello che sarà firmato tra breve a Madrid, la Russia è un nemico. E la Cina sarà definita «una sfida» – anche se gli Stati uniti stanno tentando in tutti i modi di «riscaldare» e rendere più esplicita la definizione.

Le novità. Intanto, 300mila uomini di forza di intervento rapido – nome in codice Saceur – a disposizione del comando supremo per il fianco est messo in subbuglio dall’invasione dell’Ucraina. Truppe di terra, di mare, d’aria, dello spazio e del cyberspazio all’insegna della flessibilità, ossia non schierate in massa nei paesi baltici e dell’est come la Polonia – che hanno fatto di tutto per avere «boots on the ground», stivali sul terreno, e ne hanno ottenuto 40mila – ma dislocati a rotazione in zone meno di frontiera.

E poi i soldi, un sacco di soldi. Il bilancio della Nato dovrebbe quasi raddoppiare, e il famoso 2% del Pil che ogni paese dovrebbe investire in armi e uomini Nato, ha detto il segretario generale Jens Stoltenberg, «deve essere visto più come un punto di partenza che un punto d’arrivo». In testa ai paesi ansiosi di investire nel militare c’è la Gran Bretagna di Boris Johnson che puntano al 2,5%.

NUOVI AMICI: Finlandia e Svezia sono praticamente già dentro, un cambio spettacolare in paesi dove fino a ieri parlare di Nato sarebbe costato il posto a un intero governo. È superato anche lo scoglio della Turchia di Erdogan, che non voleva difensori del curdi tra i suoi alleati: Stoccolma e Helsinki «rivedranno le richieste» di estradizione, qualcuno finirà male.

Invitati come ospiti anche Giappone, Corea, Australia e Nuova Zelanda – l’alleanza Aukus a base di sottomarini nucleari che tanto indignò Pechino – e il ministero degli esteri della Cina parla infatti di «vino vecchio in bottiglia nuova» e attacca «concetti di sicurezza obsoleti» e «quella mentalità da guerra fredda di creare nemici immaginari e impegnarsi in scontri sul campo».

Il fantastico risultato dell’invasione decisa da Vladimir Putin è per ora quello di rafforzare enormemente proprio l’avversario che intendeva indebolire, cioè l’Alleanza atlantica. In cui dal 1990, in effetti, sono entrati quattordici nuovi paesi.

Quanto più cresce la Nato come sistema di sicurezza, inoltre, tanto più decade l’Onu. Una traiettoria inesorabile praticata in Kosovo, in Libia e soprattutto nel 2013 in Iraq, quando ogni sforzo atlantico venne impiegato per degradare la capacità dell’Onu di trattare, mediare, impartire qualcosa di simile a una giustizia internazionale.

Di fronte all’invasione dell’Ucraina, l’Onu non a caso è rimasta afona, ormai a siderale distanza dall’organizzazione globale che costrinse Colin Powell a sventolare provette fasulle «piene di antrace».

L’UCRAINA È UN TEST che la Nato 2.0 non può permettersi di perdere. A Washington si parla ormai di «impossibilità per l’Ucraina di riavere gli stessi confini» ma si postula addirittura la «soluzione coreana»: cessate il fuoco provvisorio e niente trattato di pace, per non ufficializzare il nuovo confine di un paese che resterebbe diviso. Una manna per un’organizzazione militare. Una tragedia per tutti gli altri.