Non sono tanto le parole che ha detto (di per sé già aberranti), quanto il modo in cui le ha dette. Con freddezza, cinismo e distacco. Come se non stesse parlando di persone umane, ma di oggetti. Sguardo fisso, nessun tentennamento né pause dubitative. Non che sia una novità per uno che, un anno fa, con i corpi dei migranti morti nel naufragio di Cutro ancora ammassati nel paesino calabro, diceva che «la disperazione non può mai giustificare condizioni di viaggio che mettono in pericolo la vita dei propri figli». E del resto è lo stesso che, nel novembre del 2022, parlava di «carico residuale» per definire i migranti che non potevano scendere dalle navi delle Ong a causa dell’approccio muscolare alla questione immigrazione intrapresa dall’allora neonato governo Meloni. Insomma, Matteo Piantedosi l’atteggiamento da “sbirro cattivo” non se lo scrolla proprio di dosso.

IERI, OSPITE IN PREFETTURA a Milano per la sottoscrizione di un accordo sulla gestione dei beni confiscati alla criminalità organizzata, l’ultima sparata del ministro dell’Interno: «I Cpr? Molto spesso non sono nelle condizioni migliori perché l’opera di vandalizzazione che viene fatta dalle persone che sono dentro non consente sempre che siano nelle condizioni migliori». E al manifesto che gli chiede se quelle che definisce «vandalizzazioni» non siano altro invece che proteste per le condizioni disumane in cui vivono le persone trattenute nei Cpr, Piantedosi ha risposto: «Questo lo dice lei, è una sua opinione ma non è così. Se i Cpr non vengono devastati vengono mantenuti in condizioni più accettabili». Insomma, colpa di chi viene detenuto nei centri di permanenza e rimpatrio, reo di non accettare in silenzio le condizioni in cui si viene costretti.

ALLA FACCIA DELLE DENUNCE che da anni la rete «Mai più Lager – No ai Cpr» fa delle condizioni disumane in cui vivono i migranti trattenuti in attesa di rimpatrio e delle inchieste della magistratura, che hanno portato nei mesi scorsi al commissariamento della società che gestiva il Cpr milanese di via Corelli. Inchiesta e commissariamento che comunque non hanno modificato le condizioni di vita dei migranti, che proprio una settimana fa hanno messo in atto l’ennesima protesta (vandalizzazione, per dirla con il ministro Piantedosi): due uomini, seminudi sotto la pioggia, a dire basta a condizioni di vita terribili. La risposta di chi presidia il centro: spintoni e manganellate. È di ieri l’ultimo video postato proprio dagli attivisti No Cpr in cui si vedono le degradate condizioni igienico-sanitarie del centro di via Corelli: turche otturate e sporche, rotoli di carta igienica abbandonati per terra.

MA LE USCITE DI PIANTEDOSI non si sono fermate qui. Anche sulla sentenza della Corte di Cassazione, che ha di fatto dichiarato che la Libia non è un porto sicuro dove portare i migranti salvati nel Mediterraneo, consegnati nelle mani degli aguzzini della cosiddetta guardia costiera libica, la posizione del ministro è chiara: «Nessun atteggiamento ideologico alla sentenza – dice Piantedosi – anche perché è frutto di un periodo storico (il 2018, ndr) in cui le condizioni nel paese africano erano molto diverse rispetto alle attuali». E ancora: «L’Italia non ha mai coordinato e non ha mai consegnato in Libia migranti raccolti in operazioni di soccorso coordinate o direttamente effettuate dal nostro paese». Una palese falsità, che contrasta con la realtà dei fatti, che racconta al contrario come l’Italia finanzi, promuova e sostenga l’attività della guardia costiera libica, che nel 2023 ha riportato in Libia più di 20mila persone. A dimostrarlo, i fermi amministrativi e le multe alle navi delle Ong, proprio per aver ostacolato il coordinamento delle attività di soccorso libiche. Ma per il titolare del Viminale tutto questo non esiste, o meglio, è frutto di quell’atteggiamento ideologico con cui la sinistra guarda alle cose.

POTEVA MANCARE, infine, la chicca sulle identificazioni che gli agenti della Digos hanno fatto a chi, due giorni fa a Milano, è andato a deporre un fiore per ricordare Alexei Navalny? Assolutamente no. E Piantedosi assicura che nella vita è successo pure a lui, e comunque «non è un fatto che comprime le libertà personali».