L’Ungheria è sempre più intenta a seguire un suo percorso in termini di risposte da dare di fronte allo scenario bellico esistente in Ucraina.

La sua strada è apparsa differente da quella iniziata a battere da Ue e Nato all’inizio della crisi. Budapest, infatti, aveva respinto, all’epoca, ogni prospettiva di messa a disposizione del suo territorio per accogliere truppe atlantiche e far passare armi da portare in Ucraina.

Nei giorni scorsi le autorità ungheresi hanno detto no il piano di assistenza da 18 miliardi di euro per Kiev. Questo piano prevede un indebitamento comune e presuppone garanzie simili a quelle concepite per il NextGenerationUe.

Il chiarimento sulla posizione che l’esecutivo danubiano ha deciso di assumere su tale punto è avvenuto ad opera del sempre ”iperdinamico” e reattivo ministro degli Esteri ungherese Péter Szijjártó il quale ha tenuto a sottolineare che Budapest è disponibile ad aiutare l’Ucraina solo nell’ambito di impegni di carattere bilaterale.

Il ministro degli Esteri Péter Szijjártó
“Il rifiuto dell’indebitamento comune nell’Ue non è una tattica da parte nostra, ma una scelta di principio. Non pensiamo che il futuro dell’Europa sia un indebitamento comune, il che genererebbe montagne di debiti. Siamo invece prontissimi ad aiutare l’Ucraina, come fatto finora, su base bilaterale”

Il capo della diplomazia magiara è quindi entrato nello specifico della decisione presa dal governo di cui è esponente e l’ha spiegata così, come ripreso dall’Ansa: “Il rifiuto dell’indebitamento comune nell’Ue non è una tattica da parte nostra, ma una scelta di principio. Non pensiamo che il futuro dell’Europa sia un indebitamento comune, il che genererebbe montagne di debiti. Siamo invece prontissimi ad aiutare l’Ucraina, come fatto finora, su base bilaterale”.

Dallo scoppio del conflitto il governo ungherese ha tenuto a precisare di aver aperto le porte di casa ai rifugiati ucraini. A partire dai membri della minoranza magiara d’oltreconfine, potremmo aggiungere, che dà vita a una non sparuta comunità.

La stampa ungherese contraria alla politica interna ed estera di Orbán, non crede alle parole di Szijjártó e ritiene che il no dell’esecutivo di Budapest al piano di assistenza sia una mossa tattica.

I giornali d’ ispirazione centrista, di centro-sinistra e liberali, pensano che la risposta data a Bruxelles contenga un ricatto per ottenere lo sblocco dei fondi Ue che risultano sospesi per via del meccanismo di condizionalità. Un meccanismo che, com’è noto, vincola l’erogazione dei fondi al rispetto dello Stato di diritto. Secondo le tesi di cui sopra sarebbe per questo stesso motivo che il governo ritarda la ratifica dell’ingresso nella Nato della Svezia e della Finlandia.

Le problematiche relative ai meccanismi di condizionalità non sono storia di oggi e hanno visto i paesi di Visegrád (V4), specialmente l’Ungheria e la Polonia, reagire in modo concorde e teso a respingere i medesimi.

L’hanno fatto all’inizio rifiutando il vincolo dell’ospitalità da assicurare necessariamente a migranti e profughi e respingendo successivamente tutte le accuse riguardanti il mancato rispetto dello Stato di diritto da parte di Budapest e Varsavia.

Per il premier Orbán né l’Ue né altri soggetti esterni hanno titolo a stabilire se in un paese è rispettato lo Stato di diritto. A suo avviso tale valutazione compete solo agli abitanti di ciascun paese e naturalmente nega che in Ungheria esista un problema di questo genere che secondo il governo di casa è stato sollevato in modo strumentale dalla tecnocrazia liberale di Bruxelles e dai suoi alleati.

La posizione del governo ungherese di fronte alla guerra e alla Russia hanno portato ad un certo isolamento del paese sulla scena internazionale e anche all’interno del V4.

Quella della Polonia, concorde con i provvedimenti sanzionatori nei confronti di Mosca, potrebbe aver davvero ammorbidito gli animi nella Commissione europea rispetto al fascicolo riguardante Varsavia e le sue politiche considerate lesive degli standard democratici auspicati dall’Ue.

Orbán è conscio di questa situazione ma porta avanti la sua politica che descrive come tutta volta alla tutela degli interessi nazionali e mostra di essere convinto che tale sia la strada da indicare a ogni altro stato membro. Gioca quindi la sua carta per smuovere qualcosa nei meccanismi legati all’erogazione dei fondi di cui il paese ha sempre bisogno, a maggior ragione oggi che l’economia interna va tutt’altro che bene (non che prima fosse così prestante). Intanto segue con attenzione lo sviluppo degli eventi cercando come sempre di mettere insieme gli impegni legati alle promesse elettorali e le necessità concrete che comportano spesso l’addivenire a dei compromessi.

Lo scenario è fluido, ma continua ad essere lo specchio di contraddizioni interne all’Ue e non sembra facile che la guerra in Ucraina possa cambiare e aggiustare definitivamente l’aspetto delle relazioni tra gli stati membri e il centro del potere comunitario. Né che con questa esperienza traumatica si possa arrivare più facilmente a un indirizzo comune o maggiormente condiviso di politica estera tra gli stati dell’Unione. Ma staremo a vedere.