«Petrov’s Flu», il presente è un’allucinazione febbrile
Cannes 74 In concorso il film di Serebrennikov. La Russia di oggi nella messinscena di caos che guarda al cinema sovietico anni ’70
Cannes 74 In concorso il film di Serebrennikov. La Russia di oggi nella messinscena di caos che guarda al cinema sovietico anni ’70
«Questo film è arrivato in un momento difficile della mia vita, come una gioia e forse persino un’ancora di salvezza» diceva alle agenzie stampa Kirill Serebrennikov nel giorno in cui veniva ufficializzata l’impossibilità del suo arrivo sulla Croisette. Il regista, che è in concorso con Petrov’s Flu (L’influenza di Petrov) non può infatti lasciare la Russia dopo la condanna a tre anni di carcere per frode (seppure con la condizionale) alla fine di un processo farsa (un po’ come quello raccontato nel suo Arresti domiciliari da German) mirato a colpire la libertà di pensiero di un artista «scomodo», voce critica contro Putin e l’autocrazia del governo russo, schierato accanto ai movimento Lgbtq sempre più sotto attacco. Non è la prima volta, da anni ormai nei festival di tutto il mondo ci sono mobilitazioni in suo sostegno, sedie lasciate vuote col suo nome in segno di protesta; non era potuto arrivare neppure quando aveva presentato, proprio qui a Cannes nel 2018, il magnifico Summer sulle vite dei protagonisti del rock sovietico underground negli anni Ottanta, la novità è che stavolta Serebrennikov si collegherà oggi per la conferenza stampa a distanza.
Petrov’s Flu – in Italia sarà distribuito da I Wonder -è ispirato al romanzo di successo di Aleksei Salnikov che Serebrennikov «adatta» come un’opera rock, un viaggio notturno e pauroso in un paesaggio claustrofobico senza orizzonte tra visioni omicide, fantasie di alieni, serate di poesia, canzoni, violenze; un’allucinazione febbrile, quella del protagonista, disegnatore di fumetti, e della sua famiglia contagiata dalla terribile influenza per cui non c’è rimedio – solo paracetamolo e aspirina. Siamo nella Russia post-sovietica, si paela di Gorbaciov e di Putin, anche se Serebrennikov utilizza la forma visuale del cinema sovietico degli anni settanta, dalla luce un po’ verde – che era quella della loro pellicola – agli interni metaforici e «fracassoni» in cui si confondono i piani temporali nell’accumulazione di oggetti, storie, voci; nel caos di colore e bianco e nero, dissertazioni filosofiche e insulti, sesso e risse quasi a cercare nella storia del cinema la «temperatura» di una dissidenza (tra i registi dell’epoca spesso «congelati» come i suoi musicisti in Summer) possibile grazie all’immaginario.
Insieme all’amico Petrov (l’ottimo attore Seymon Serzin) attraversa una città che potrebbe essere quella dei suoi fumetti su un bus-mondo dove aggressività e disprezzo sembrano essere i soli sentimenti rimasti. La moglie, direttrice della biblioteca (Chulpan Khamatova) appare come una specie di vendicatrice, uccide chi aggredisce le donne, gli artisti, quegli uomini brutali della sicurezza coltivando fantasie omicide anche sul figlio che si lagna e soccombe come tutti a quella febbre ma non vuole rinunciare alla festa scolastica di fine anno
NELL’IMMAGINE «quadrata» 1.37 appare la memoria di Petrov, la madre, il padre, l’amica della mamma bionda e alla moda dopo un viaggio in Polonia, i genitori che giravano nudi in casa, quell’albero di natale con i cosmonauti. E le recite a scuola e la stessa festa coi bambini bianco-vestiti come il coniglio tranne lui «fuori posto»col suo maglione rosso.
Ma cosa ci dice questa allucinazione febbrile che distorce il mondo, dilatando una strana sensorialità? Ci parla del presente, del suo autore e di tutti coloro come lui, ci dice della repressione nel nome della morale e della religione, dell’odio verso gli artisti e il pensiero libero, dei tabù – come l’omosessualità. E di cosa significa soffocare in una realtà, quale quella russa, senza spazi, senza respiro. A Serebrennikov non interessa la «storia» in sé, la sua narrazione è una messinscena frammentaria e spiazzante, che utilizza la forma visuale: è qui nell’eccesso spinto all’estremo delle sue immagini che costruisce la propria realtà., deformandola per svelarne la sostanza, la materia profonda e universale.Tutto vero, tutto falso, o solo un incubo da malattia? Lo stesso nel quotidiano delll’autore e di coloro che vogliono continuare a resistere interrogando il proprio ruolo di artisti o di cittadini.
Petrov’s Flu è un grandiosa «performance», inquietante e liberatoria del e sul nostro tempo, e una riflessione che arriva al paradosso sullo sguardo per darne il senso. In modo libero, contro ogni mistificazione.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento